Volitivo, solare, la direzione d’orchestra nel sangue. Una sorta di predestinato, guidato da un’innata consapevolezza, essere naturalmente parte del mondo della musica. Lahav Shani, direttore d’orchestra di origine israeliana, classe 1989, è considerato oggi uno dei più giovani e significativi talenti del podio. Figlio d’arte, il padre è il direttore d’orchestra Michael Shani, frequenta fin dalla tenera età concerti e opera «intorno ai 4 anni guardavo le opere di Mozart e dopo i film Disney. Alla scuola dell’infanzia già suonavo e accompagnavo gli amici. A 6 anni ho iniziato seriamente lo studio del pianoforte a Tel Aviv, poi è arrivato il contrabbasso e, successivamente, a Berlino, la direzione d’orchestra», racconta. Nel 2013 è primo premio del Gustav Mahler International Conducting Competition dei Bamberger Symphoniker. Sempre con loro nel 2013 sostituisce Gustavo Dudamel per tre concerti. È poi invitato ad aprire la stagione 2013/14 della Israel Philharmonic Orchestra con 7 concerti tra Tel Aviv, Gerusalemme e Haifa (il suo stretto rapporto con la Israel Philharmonic inizia nel 2007 quando suona il Concerto per Pianoforte di Tchaikovsky diretto da Zubin Mehta, e continua quando lo segue con l’orchestra per un tour in Asia come pianista solista, direttore, assistente e contrabbassista). Dal 2017 è Direttore Ospite Principale dei Wiener Symphoniker. Nella stagione 2018/19 è nominato Direttore Principale, successore di Yannick Nézet-Séguin, della Rotterdam Philharmonic Orchestra. Mentre nella stagione 2020/21 diventa, dopo Zubin Mehta, Direttore Musicale della Israel Philharmonic Orchestra.
La sua carriera in rapidissima ascesa lo porta a dirigere alcune tra le più blasonate compagini orchestrali del panorama internazionale tra cui Staatskapelle Berlin, Wiener Symphoniker, Gewandhaus Orchester, Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks, Berliner Philharmoniker, London Symphony Orchestra, Boston Symphony Orchestra, Royal Concertgebouw Orchestra, Philadelphia Orchestra, Budapest Festival Orchestra, Orchestre de Paris e Philharmonia Orchestra. Doveva essere ospite della programmazione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia lo scorso aprile ma il concerto è stato annullato a causa dell’emergenza sanitaria. Sarà comunque in Italia alla guida dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino il prossimo 26 gennaio 2021.
Mentre risale alla fine di novembre scorso l’uscita del suo cd dedicato a Ludwig van Beethoven nel 250° anniversario della nascita, per l’etichetta Warner Classics, registrato sul podio della Rotterdam Philharmonic Orchestra.
Come è nata la passione, divenuta poi scelta, della direzione d’orchestra?
«Fin dalle scuole superiori suonavo il contrabbasso in orchestra e posso dire che già allora iniziai a maturare il desiderio di dirigere. Credo che sia una cosa a cui tanti musicisti in orchestra pensano. Sentivo di avere un’idea musicale chiara e da questo è nata la volontà di passare al podio, non tanto per essere direttore quanto per poter dare corpo all’idea musicale che sentivo».
Un passo molto importante nella sua vita è stato l’incontro con Zubin Mehta, un mentore che l’ha supportata per molti anni. Su questo speciale rapporto?
«La sua è stata un’importante presenza per me fin dall’inizio, quando l’ho conosciuto come direttore d’orchestra; posso dire che mi abbia fortemente motivato ad intraprendere e proseguire nel percorso della direzione, a Berlino, e che fosse sicuro del mio fortunato collegamento futuro con la Israel. Un supporto davvero molto importante, insomma».
Nel suo passato anche l’esperienza di contrabbassista con la Israel Philharmonic: quanto ha contato militare davanti al podio e come è poi avvenuta invece la scelta di salirci?
«Volevo suonare il contrabbasso poiché ero attratto dalla “parte bassa” della musica. Ho sempre amato suonare in orchestra, tra musicisti, e certamente quest’esperienza mi è servita a comprendere differenti livelli di comunicazione e amare ancor di più la possibilità di trasmettere la mia idea musicale».
Dalla stagione 2020/21 è nominato Direttore Musicale della Israel Philharmonic Orchestra, subentrando a Zubin Mehta che ha tenuto l’incarico per 50 anni. Cosa significa questo per lei? E come vive questa importante eredità?
«Mehta è stato direttore musicale della Israel per 50 anni. Fu diretta per il concerto inaugurale da Toscanini e, nel tempo, Mehta ne ha costruito la tradizione e la storia – in cui compaiono tra gli altri nomi del calibro di Leonard Bernstein e Kurt Masur – e a lui si deve la scelta di ogni musicista. Per questo cerco di seguire la sua impronta, ma anche di creare una mia chimica con l’orchestra. Sono cresciuto avendo lui come idolo e mi ritengo fortunato poiché conosco il suo approccio all’orchestra e la risposta di quest’ultima. Credo, insomma, che sia molto importante portare avanti la sua tradizione».
Nel giugno 2016 il debutto con la Rotterdam Philharmonic Orchestra; non meno di due mesi dopo, l’annuncio della sua nomina a Direttore Principale, il più giovane a ricoprire questo ruolo nella storia dell’orchestra…
«Direi che la prima volta a Rotterdam, da cui parlo ora, fu un vero e proprio elettroshock, una folgorazione. Capii immediatamente che volevo stare qui. Sapevo che cercavano un successore di Yannick Nézet-Séguin – divenuto nel 2018 Direttore Musicale del Metropolitan Opera di New York – e da lì in poi questo fu per me un obiettivo, ma un po’ anche un test, non sapevo se avrebbe funzionato. Devo ammettere che si trattò di una sorta di amore a prima vista, un feeling che ho avvertito fin dal primo momento».
L’accordo pluriennale tra la Warner Classics, la Rotterdam Philharmonic Orchestra e lei, suo direttore principale, è stato inaugurato con l’uscita di un album tutto Beethoven, registrato nell’ottobre 2019 e comprendente il Concerto per pianoforte n. 4, da lei diretto alla tastiera, e la Sinfonia n. 7…
«Questo è per noi il primo disco insieme nonché il primo di collaborazione con Warner Classics – sodalizio di cui sono molto orgoglioso e che spero prosegua con altri progetti in futuro. L’idea è nata dalla volontà di mostrare lo speciale feeling con l’orchestra e poter suonare con loro Beethoven. Si tratta di musica certamente incisa tante volte e da tanti musicisti ma credo fosse importante mostrare l’atmosfera unica che si crea con questa orchestra, nonostante la musica eseguita sia più che conosciuta».

Dal 2017 anche Direttore Ospite Principale dei Wiener Symphoniker: altro ruolo, altra orchestra, altro Paese. Sui diversi modi di “fare musica” tra queste varie orchestre?
«Ogni orchestra è molto differente e nella mia mente possiede un suo suono; un suono e un’identità di cui credo che un direttore dovrebbe tenere conto. Immagino, come accade quando si incontrano differenti amici. Intendo, che si debba avere una propria idea, certo, ma la connessione cambia a seconda della particolare interazione che si sviluppa con ogni differente orchestra. Così è avvenuto quando sono arrivato a Vienna, ho conosciuto il suono dell’orchestra e “seguito una nuova forma”. Non tanto con la volontà di cambiare il materiale che mi trovavo dinanzi quanto di seguire la diversità, imparando da ognuno di loro».
Quale la sua opinione sulle varie iniziative musicali senza pubblico (in streaming) di questo periodo? “The show must go on”?
«Abbiamo suonato diversi concerti senza pubblico in sala durante i periodi di lockdown, è accaduto sia con la Israel che con la Rotterdam, l’importante è restare in qualche modo connessi con il pubblico. Suonare insieme è la nostra vita e non averlo potuto fare in alcuni momenti è stato fortemente demotivante. Non poter fare musica insieme per noi musicisti in tempo di isolamento è più che pericoloso; quindi, ripeto, tutto quel che si può fare per suonare è vita. Insomma, la cosa più importante è senz’altro poter continuare, non importa come…».
Caratteristiche fondamentali per essere un buon direttore d’orchestra? E segreti per creare il giusto rapporto con l’orchestra?
«Non penso esistano segreti ma penso sia semplicemente naturale. I segreti possono esistere per il manager di un’azienda o per l’allenatore di una squadra di calcio ma qui il punto di partenza è esclusivamente la conoscenza. Ma se funziona o no è anche questione di chimica. Significa che nonostante si faccia tutto nel migliore dei modi può non funzionare; ossia che, anche se non vi sono stati errori, non è scontato ottenere come risultato un buon concerto».
Guida regolarmente le più rilevanti orchestre del panorama internazionale: un episodio che ricorda con particolare piacere?
«Sono molti, fortunatamente. Come già detto, certo la prima volta con la Rotterdam Philharmonic Orchestra è stata indimenticabile. Così come lo è stata la prima volta sul podio della Israel, di cui conoscevo già ogni musicista. Ma ogni volta che mi trovo davanti ad una nuova orchestra è emozionante scoprire se la nostra interazione funziona».
Suggerimenti per giovani “aspiranti” direttori d’orchestra?
«Studiare la partitura, prima di tutto. Il resto è affidato alla curiosità, alla capacità di ascoltare i musicisti, comprendere le loro personalità e sviluppare la comunicazione corporea, ma si tratta in larga misura di caratteristiche “non apprendibili”. Poi certamente vedere altri direttori e imparare dai propri errori, ma, ripeto, soprattutto studiare la partitura».
Sogni e speranze per la musica e per il futuro nella sua vita?
«Il mio più grande sogno allo stato attuale è poter riprendere a dirigere concerti, poter incontrare persone, tornare alla pienezza della nostra vita e poter così continuare a dare il cuore in ciò che facciamo. Manca tanto la reazione del pubblico, un’emozione fondamentale».
Luisa Sclocchis
photo © Marco Borggreve (ritratti) e Guido Pijper (nella slide)