#Conversations Da Spoleto all’Europa: Monique Veaute e il Festival dei Due Mondi che verrà

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Il Festival dei Due Mondi, il più antico d’Italia, si svolgerà dal 25 giugno all’11 luglio 2021 con un calendario che include arte, teatro e danza. Il festival da quest’anno è affidato alla direzione artistica di Monique Veaute, figura autorevole nel panorama musicale internazionale, con una lunga carriera manageriale alle spalle che l’ha vista al vertice di importanti istituzioni musicali internazionali, fra cui la sezione Musica della Biennale di Parigi, Palazzo Grassi a Venezia di cui è stata amministratore delegato e, a Roma, il Festival di Villa Medici che nel 1990 è diventato la Fondazione Romaeuropa – Arte e Cultura, di cui ora è presidente onorario. Competenza e ottimismo sono alla base del suo impegno nel proseguire la storia del festival umbro nel segno del fondatore Gian Carlo Menotti. Con Monique Veaute abbiamo avuto una piacevole conversazione in cui ci ha raccontato della programmazione del festival 2021, delle sue prospettive di innovazione e anche un po’ della sua esperienza.

Qual è secondo lei l’eredità più importante lasciata da Gian Carlo Menotti sulla quale porrà le basi per il futuro del festival?

«La prima è la predominanza della musica, non solo classica. Già Menotti aveva indicato un’importante apertura alla musica contemporanea. Io aprirei anche all’elettronica e a quelle forme di musica non accettate dal mondo classico, ma che vanno un po’ oltre. Questo è il primo punto. Il secondo è l’internazionalità. Ovviamente lascerò molto spazio agli artisti italiani, ma darò anche spazio alle espressioni artistiche internazionali. Il terzo punto è la multidisciplinarietà. Vorrei un festival che oltre alla musica comprenda la danza e il teatro, a cui il direttore artistico che mi ha preceduta ha dato uno spazio importante. E sicuramente proseguirò anch’io in tal senso».

Il programma dell’edizione 2021 sarà annunciato a marzo e «presto conosceremo la data di presentazione del festival», assicura Monique Veaute. Intanto sono stati già fissati il concerto di apertura (25 giugno) con Iván Fischer alla testa della Budapest Festival Orchestra che eseguirà musiche Milhaud, Satie e Ravel, e il concerto di chiusura (11 luglio) con Antonio Pappano che dirigerà l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia in musiche di Rossini, Fazil Say e Rimskij-Korsakov. Può darci qualche altra anticipazione?

«Per me è una novità fare un concerto di apertura. La Piazza del Duomo sarà lo spazio prestigioso che ospiterà diversi concerti, fra gli altri uno molto particolare con musica barocca e musica elettronica, e il concerto dell’orchestra giovanile di Santa Cecilia, novità che offre un’esperienza e un’opportunità di qualità a giovani musicisti, aspetto che tengo molto a valorizzare. Il festival dedicherà anche uno spazio a Dante Alighieri con un concerto dell’ensemble Micrologus che eseguirà musiche ascoltate dal sommo poeta o da lui stesso menzionate nella Divina Commedia. Abbiamo lavorato con il comitato delle celebrazioni dantesche concordando di realizzare qualcosa di specifico, in un ambito meno conosciuto o meno rappresentato nei programmi celebrativi, dunque legato alla musica».

Prevede collaborazioni o coproduzioni con altri festival italiani o europei?

«Ho già avviato collaborazioni con le orchestre del Budapest Festival e dell’Accademia di Santa Cecilia – che saranno in residenza al festival per le prossime cinque stagioni; con l’Opéra National de Lyon, con cui sto lavorando per la prossima edizione; con il Teatro dell’Umbria, non solo perché è una realtà artistica della regione, ma anche per la sua vocazione a sostenere giovani registi di prosa. Seguirò sempre l’idea di collaborare con altre istituzioni artistiche nazionali o internazionali poiché trovo che fare qualcosa soltanto una volta sia di una grande tristezza per gli artisti e per chi produce un evento. Puntare all’unicità, all’esclusività è la prima cosa che mi è stata detta arrivando a Spoleto ma ho spiegato che considero questa idea un po’ datata e credo che la risposta sia stata positiva».

Possiamo comunque dire che c’è la volontà di dare una svolta innovativa al festival pur restando nel solco della tradizione.

«Sì, assolutamente. Detto così è molto più bello».

L’attenzione ai giovani musicisti, ai giovani artisti è un segnale di rilievo per diverse ragioni, un gesto importante soprattutto in questo momento particolare.

«Sono d’accordo. Io sono favorevole al connubio artistico fra i grandi maestri e i giovani talenti che intraprendono questo mestiere molto difficile. È importante incoraggiarli, metterli alla prova del confronto con il pubblico. Ci credo molto».

Il programma del festival prevede l’allestimento di una o più opere nell’edizione 2021?

«Una soltanto, Giovanna d’Arco al rogo di Arthur Honegger, con la regia di Romeo Castellucci».

Lei si avvale di una squadra di professionisti che la segue nella programmazione del festival.

«Sì, certo. Ci sono Paola Macchi, direttrice generale del festival, Francesca Manica che è una specialista di danza e si occupa anche della parte internazionale, Marco Ferullo che cura la comunicazione e mi affianca per la musica. Ovviamente ci sono anche lo staff dell’Accademia di Santa Cecilia e quello di Iván Fischer. Tutti, insieme, ci confrontiamo sui programmi e quando discutiamo fra noi vengono fuori idee stupende. Il confronto è sempre molto costruttivo. Più menti, insieme, fanno una grande mente».

Nella sua lunga esperienza manageriale nel mondo della musica, ci sono state esperienze o motivazioni particolarmente significative non solo per la sua carriera, ma più in generale per la sua vita?

«La passione per la musica; non aver avuto esitazione nel fare le mie proposte, anche quando non sono state accettate; ho sempre guardato avanti. Soprattutto, è stato importante il mio arrivo in Italia nel 1982 che per me ha segnato una svolta importante. Dal nord Europa – Germania, Francia, Belgio, che erano i miei terreni di lavoro – sono venuta a Villa Medici dove è nato il Romaeuropa Festival, la cui esperienza mi ha portato a Spoleto quest’anno».

La situazione attuale, caratterizzata da incertezze e preoccupazioni, ci fa vivere in un tempo sospeso. Si spera in una piena ripresa in estate, della musica dal vivo e dei festival. Lei si sente fiduciosa?  

«Io sono un’ottimista di natura. Sono convinta che ne usciremo, che il festival di Spoleto si farà esattamente così come l’ho sognato e come tutti noi siamo impegnati a portare avanti. Per quel che riguarda il mondo musicale in generale, sono convinta che assisteremo a una grande reazione liberatoria e scopriremo cose nuove molto interessanti. Penso che da questo periodo di chiusura, di isolamento, scaturirà una rigenerazione di creatività».

Info: festivaldispoleto.com

 

Gabriella Fumarola

 

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