#Conversations Antonio Florio: al Festival Duni di Matera il Barocco è visto da Sud

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Con il titolo Il Barocco visto da Sud, il Festival Duni di Matera presenta un progetto artistico di respiro internazionale dove passato e presente s’intrecciano in un dialogo fra musiche di epoche diverse. La XXI edizione della rassegna consta di tredici appuntamenti che, dal 25 settembre al 12 novembre, animeranno i luoghi più suggestivi della città dei Sassi. Come nelle precedenti edizioni, anche quest’anno il festival, fondato da Saverio Vizziello e diretto da Dinko Fabris nel nome del musicista materano Egidio Romualdo Duni (1708-1775), è volto alla valorizzazione di musicisti meridionali, e del territorio lucano in particolare, che fecero grande la cosiddetta “Scuola Napoletana” in Europa nel XVII e nel XVIII secolo. Fra i tanti si colloca Donato Ricchezza (1650 ca.-1722), musicista lucano al quale il festival dedica il concerto inaugurale con la prima esecuzione in tempi moderni dell’Oratorio di Sant’Eustachio.

La riscoperta di Donato Ricchezza e questo nuovo ritrovamento si devono al lavoro di ricerca e allo studio sistematico di Antonio Florio (nella foto), musicista fra i massimi esperti del Seicento e del Settecento napoletano, già autore del recupero degli oratori Los Santos Niños La ruina degli angeli di Ricchezza e direttore della Cappella Neapolitana. Florio e il suo ensemble presentano il ritrovato Oratorio in prima assoluta nel Duomo di Matera per l’apertura del Festival Duni, scelta che è anche un omaggio alla città di cui Eustachio è il santo patrono. Il concerto è realizzato in collaborazione con la rassegna di musica barocca “Sicut Sagittae” di Napoli dove sarà replicato il 27 settembre.

Per conoscere più da vicino la storia del ritrovamento e le caratteristiche dell’opera abbiamo avuto una piacevole conversazione con Antonio Florio che ci ha parlato della sua lunga attività di ricerca e artistica nel campo della musica barocca. «Tutto parte dal mio grande interesse verso i musicisti napoletani della seconda metà dei Seicento», afferma il direttore, «che rappresentano le radici di quella grande scuola settecentesca artefice della straordinaria dispersione della musica napoletana in tutte le corti europee. Sono autori che in realtà hanno avuto una certa sfortuna a causa della difficile reperibilità dei manoscritti che, per la maggior parte di quelli di cui mi occupo, sono conservati nella biblioteca dei Girolamini di Napoli, chiusa dal 1980 e riaperta solo per brevissimi periodi. La difficile reperibilità dei manoscritti ha fatto sì che questi autori venissero considerati minori. In realtà sono allo stesso livello dei coevi Legrenzi, Stradella o Corelli. Donato Ricchezza è un musicista che segue la corrente di Francesco Provenzale, del quale fu allievo, e questo oratorio rivela peculiarità abbastanza particolari. È caratterizzato da molta azione e si potrebbe definire più un’opera che un oratorio».

Oltre l’aspetto drammaturgico, l’opera rivela peculiarità musicali che riguardano «innanzitutto un’invenzione melodica facilissima, tratto comune degli autori napoletani, e soprattutto di Antonio Nola, Francesco Provenzale, Gaetano Veneziano e appunto Donato Ricchezza, autori coevi nati tra gli anni trenta e cinquanta del Seicento. Riscoprire la storia dell’oratorio – prosegue Florio – non può prescindere da questi musicisti i quali hanno avuto una attività compositiva legata soprattutto alla musica sacra. E anche i musicisti più noti del Settecento, cito per esempio Pergolesi e i suoi due oratori, non potrebbero esistere se non ci fossero stati autori come Provenzale, Ricchezza e Veneziano che si sono dedicati soprattutto a questa forma musicale. Nella biblioteca dei Girolamini si conservano molti oratori di Ricchezza, forse in numero maggiore rispetto ad altri musicisti, ma non possiamo avere certezza assoluta per le ragioni già dette». Alle quali spesso si aggiunge la difficoltà di proporre autori meno noti ma non meno meritevoli di attenzione e di una collocazione stabile in repertorio. «Io lavoro molto sul repertorio napoletano, tuttavia, mi capita spesso di dirigere Haendel, Purcell, Monteverdi o napoletani come Vinci e Pergolesi. Proporre il Seicento è molto difficile perché solitamente chi dirige, chi è a capo di una istituzione concertistica crede che il pubblico non sia interessato a questo repertorio ma in realtà il pubblico è molto più avanti rispetto a chi decide. Sono più che contento che il Festival Duni mi abbia dato questa opportunità e mi fa molto piacere che la proposta venga dal Sud».

A conferma di quanto valide iniziative e un’offerta musicale mirata e di ampio respiro possano contribuire alla divulgazione di un importante patrimonio culturale ancora oggi poco conosciuto. «Sicuramente. Ma abbiamo bisogno di persone illuminate e con un grande pedigree culturale alle spalle. Il pubblico recepisce bene e ha voglia di conoscere musica e autori del Sei – Settecento ma spesso c’è poco coraggio nelle proposte. Eppure, tanti autori aspettano di essere considerati repertorio. Quando più di trent’anni fa io ho iniziato, alcuni musicisti non erano neanche menzionati nella storia della musica».

Questo è un anno molto difficile per la musica. Fortunatamente però assistiamo alla graduale riapertura dei teatri e alla ripartenza di stagioni liriche e musicali. Quali scenari e quali auspici vorrebbe per il futuro della musica nel nostro Paese? «In Italia auspico di vedere amare di più i musicisti, i direttori e gli ensemble italiani, che lavorano tanto. Spesso si vedono stagioni intere costruite su musicisti di altri paesi; per carità, è importante che ci siano, ma da parte delle istituzioni deve esserci una maggiore protezione nei confronti dei musicisti italiani. In tutti i paesi europei ensemble come il mio hanno sovvenzioni; noi possiamo averle, e non come entità, solo se realizziamo un festival o una rassegna e questo è fortemente penalizzante. Inoltre, bisogna considerare che nel mondo della musica oltre ai musicisti ci sono anche le maestranze e spesso si fa fatica a trovare fondi per retribuire anche queste persone».

E riguardo al momento difficile Florio non nasconde il suo rammarico per «la chiusura di alcuni festival di musica antica. È musica che ci appartiene e va difesa non solo da noi che la facciamo ma anche da chi ascolta, da chi decide, dalla politica culturale. Quando si parla di cultura nel nostro paese, si fa riferimento quasi sempre solo ai musei. Esiste anche il teatro, la danza, che è quasi in agonia, la musica antica, non solo i musei».

Tornando al Festival Duni, Antonio Florio ricorda la sua prima partecipazione «già due anni fa con un recital di Luigi Rossi eseguito dai miei allievi del master di musica antica – corso istituito al Conservatorio San Pietro a Majella -, in collaborazione con Scarlatti Lab, sezione dedicata ai giovani dell’associazione Scarlatti di Napoli”. E soffermandosi sull’importanza della formazione dei giovani ribadisce che oltre al master “anche la rassegna Sicut Sagittae da lui fondata rivolge lo sguardo alle nuove generazioni di musicisti, aspetto importante in quanto il nostro compito non è solo insegnare ma introdurre i giovani al loro futuro lavoro. All’Oratorio di Sant’Eustachio partecipano giovani artisti provenienti dalla mia scuola; alcuni di loro sono già professionisti e hanno preso parte al Dido and Aeneas eseguito a Ravello. Poi ci sono i musicisti storici della Cappella Neapolitana che in questo caso è composta da cinque cantanti e un ensemble strumentale formato da due violini, violoncello, violone, cembalo e due tiorbe».

Dopo la riscoperta di Donato Ricchezza per Antonio Florio è già tempo di una nuova ricerca musicale dedicata a Gaetano Veneziano che il direttore definisce «il musicista alle porte del Settecento più importante della Scuola Napoletana».

I nomi di rilievo internazionale ospiti del Festival Duni sono tanti, da Ton Koopmann (18 ottobre) a Jordi Savall (12 novembre), da Beatrice Rana (13 ottobre) a Gabriele Cassone, il maggior virtuoso italiano di tromba naturale. Ricordiamo inoltre l’appuntamento con la Cappella Corradiana diretta da Antonio Magarelli per l’esecuzione dellaPassione secondo Luca di Giovanni Maria Trabaci in continuità del progetto dell’integrale delle Passioni del compositore lucano avviato nel 2018 (7 novembre) e la tradizionale collaborazione fra il Festival Duni, MaterElettrica e il compositore Fabrizio Festa artefici del connubio fra musica antica e contemporanea che quest’anno vede protagonisti il violinista Francesco D’Orazio, il Duni Ensemble e l’Orchestra ICO della Magna Grecia.

La XXI edizione conferma inoltre il Café Duny, iniziativa coordinata da Fiorella Sassanelli e caratterizzata da tre concerti in forma di dialogo che vede protagonisti il Duo Faenza, Patrizia Bovi e Crawford Young, Andrea Cohen e Mariantonietta Cancellaro. Il Festival Duni è organizzato dall’associazione Ensemble Gabrieli con il sostegno del Ministero dei beni e delle attività culturali, della Regione Basilicata e del Comune di Matera.

Info: festivalduni.it

 

Gabriella Fumarola

 

 

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