Concorso Busoni: intervista alla Presidentessa della giuria Mari Kodama

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Il Concorso Busoni si è recentemente concluso con la vittoria del croato Ivan Krpan. Il giorno prima della Finalissima, tuttavia, ho avuto modo di intervistare la Presidentessa della Giuria, la pianista giapponese Mari Kodama, per approfondire il suo sguardo sul Concorso e sul mondo pianistico.

In qualità di membro e Presidentessa della Giuria, cosa cerca in un pianista ad un concorso?

La ricerca è diversa rispetto a quando si è nel pubblico. Soprattutto in qualità di Presidentessa, mi devo assicurare che tutti noi giurati abbiamo lo stesso obiettivo. Ovviamente ascoltiamo in modo diverso, ma dobbiamo avere tutti lo stesso scopo, ossia di trovare il miglior ambasciatore per il Concorso Busoni. Quindi ciò che proviamo a fare è osservare le possibilità di un giovane pianista, che abbia un suo proprio linguaggio costruito su basi musicali e tecniche molto solide. Sembra semplice, ma non lo è affatto! Il vincitore dev’essere qualcuno che abbia la possibilità di convincere il mondo musicale in Europa e in Nord America, i principali circuiti su cui si muoverà dopo la vittoria, due mondi molto diversi. Chiarito questo scopo, quindi, cerchiamo di mettere da parte le nostre preferenze e il nostro gusto, per scegliere chi possiede questa possibilità.

Qual è quindi l’abilità richiesta per convincere due mondi, Europa e Nord America, così diversi fra di loro e al proprio interno?

In Europa, da cui la musica classica ovviamente proviene, c’è una tradizione di molti secoli di background musicale. Ciò significa che se vuoi avere successo in Europa devi essere veramente colto e ovviamente avere il tuo linguaggio personale, altrimenti non sarai interessante per nessuno. Questo linguaggio, tuttavia, dev’essere basato sulla cultura europea, che devi veramente comprendere per poter essere apprezzato. E naturalmente devi aver un’ottima tecnica per veicolare queste idee nei confronti del pubblico. In America non è troppo diverso, ma spesso le sale sono molto più grandi, anche duemilacinquecento o tremila posti. Quindi devi avere dunque il tuo linguaggio, sì, ma anche l’abilità di farlo arrivare fino all’ultimo di quei duemilacinquecento posti. Non serve necessariamente un suono enorme e brillante, ma bisogna avere una proiezione e un’espressività che possano convincere tutte queste persone, non solo le venti intorno a te!

Lei è anche una camerista affermata e questo Busoni ha compiuto l’ottima scelta di inserire una prova di musica da camera. Suonare da soli, suonare con un’orchestra e suonare musica da camera è molto diverso, lei cosa pensa di questo round cameristico?

Penso che la sessione di musica da camera sia stata un po’ sottovalutata, per l’idea che un ottimo camerista sia per forza sia un ottimo solista, ma al contrario è stata estremamente interessante, perché tutte le mie impressioni prima di essa sono state rafforzate. Se ad esempio avevo qualche dubbio riguardo alla musicalità genuina, se non ero sicura se a qualcuno fosse stato semplicemente insegnato a suonare in quel modo oppure se veramente lo sentiva da sé, ebbene in musica da camera non si può davvero barare. Devi essere flessibile e quindi è stato ovvio capire chi fosse più genuino e chi meno. Ed è stato utile anche per capire chi avesse la forza di guidare: la musica da camera non è solo rispetto e abilità di stare sullo sfondo, bisogna anche avere la forza di volontà di assumere il ruolo di protagonista, ogni tanto. Soprattutto in questi quintetti, in cui ogni strumento ha il proprio momento, anche il pianista deve saper emergere. La prova di musica da camera ha reso più semplice capire tutto ciò.

La Finalissima di quest’anno vede tre concorrenti molto diversi tra loro anche per l’età. Quanto conta questa in un concorso?

È una buona domanda. Ovviamente quando un pianista è giovane, ne vedi il potenziale, ma non si può dare il Primo premio a qualcuno che abbia solo quello. Il Primo premio deve essere pronto ad andare nel mondo da subito, non fra tre anni. Il potenziale va comunque considerato, se qualcuno non ce l’ha, non avrà nemmeno possibilità di affermarsi. D’altro canto, se uno è più grande, verso i trent’anni, avrà le sue difficoltà, perché in teoria dovrebbe già essere abbastanza inserito nei circuiti concertistici. Ma non si può sapere, ogni tanto i pianisti iniziano la propria carriera tardi o iniziano a studiare dopo e se qualcuno vicino ai trent’anni ha una maturità convincente, che un diciottenne non ha, anche quello conta.

Parlando di circuiti concertistici e carriera, cosa pensa dei concorsi pianistici in questo particolare momento?

I concorsi sono l’occasione per tutti i pianisti di avere una possibilità, di ottenere della visibilità. Credo che sia qualcosa di fantastico, perché non tutti hanno modo di incontrare un produttore discografico o un agente, ma chiunque sia bravo può iscriversi ad un grande concorso e farsi conoscere. Devo dire che non è l’unico modo di costruirsi una carriera, anche perché ogni carriera è diversa e non è possibile pensare ad un percorso unico per tutti. E alla fine non è l’etichetta discografica a fare la carriera, non è l’agente, non è il concorso, sei solo tu. Devi suonare estremamente bene, devi avere personalità, ma devi anche avere una visione di ciò che vuoi, perché quello che offri è una sorta di prodotto. Può andare di moda in un momento e poi cinque anni dopo può non funzionare più, quindi devi avere una visione di come vuoi vivere la tua vita musicale, come vuoi crescere e come vuoi essere interessante per il mondo musicale. E se riesci ad essere  interessante avrai sempre una carriera!

Foto di copertina – Ph. Vincent Garnier

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