Pubblichiamo di seguito un contributo che proviene dalla redazione di Tell me Chigiana, workshop di critica musicale attivato all’Accademia Chigiana di Siena e coordinato da Massimiliano Coviello e Stefano Jacoviello, che grazie al lavoro di giovani in residenza intende raccontare il Chigiana International Festival and Summer Academy 2018.
Alla sinistra del palco, allestito ai piedi dell’altare centrale della Chiesa di Sant’Agostino, Antonio Restuccio batte i primi colpi sul suo djembe. Di fronte a lui e, poi, dal fondo della scena, si levano le mani di Filippo Sinibaldi e Jinsun You: pochi battiti, precisi e misurati, si fondono al modulo ritmico iniziale. L’intera navata risuona delle note di Okho, mentre il caratteristico timbro delle percussioni dell’Africa occidentale sembra rievocare un tempo ancestrale.
È iniziato così il concerto dello scorso 26 luglio, in cui gli allievi del Chigiana Percussion Ensemble hanno affrontato alcune delle pagine musicali più impervie dell’avanguardia musicale del Novecento. Da Xenakis quindi, si è passati allo Stockhausen puntilista degli anni ’50, a quello quasi sensuale di Vibra-Elufa; poi, ancora, si è fatto ritorno ai primi esperimenti di composizione aperta dell’autore tedesco, per chiudere infine con un salto tra le strade berlinesi del 1986, dove Battistelli scrisse Ostinato.
Secondo una formula spesso adottata nel corso del #ChigianaFest, agli allievi sono stati accostati altri artisti di grande calibro: Alessandra Gentile, Tonino Battista, Christian Schmitt, Yoshua Fortunato, Luigi Pecchia, Alvise Vidolin (insieme ai suoi studenti del corso di live electronics) e Nicola Bernardini. A questi va aggiunto, ovviamente, il Maestro Antonio Caggiano, insegnante di percussioni all’Accademia, che, dal palco posto al centro della chiesa, ha illuminato la serata con una brillante interpretazione di Zyklus. Una esecuzione, la sua, alla costante ricerca di un equilibrio tra le precise prescrizioni dettata dalla partitura – stilata con tanta cura nei dettagli da richiedere l’elaborazione di un nuovo sistema grafico che permettesse di annotarli tutti – da un lato e, dall’altro, la volontà di Stockhausen di rendere pure l’esecutore in qualche modo partecipe del processo creativo, concedendogli qualche piccola libertà.
Una scelta, quella di accostare allievi a grandi musicisti, che pure in quest’occasione si rivela particolarmente felice, specie con Kreuzspiel. Fin dalle prime note suonate dal Maestro Pecchia al pianoforte infatti, i presenti, immersi in un’atmosfera rarefatta, si perdono in una nuova dimensione temporale, fatta di lunghi e densi silenzi ad intercalare i piccoli punti luminosi che costituiscono l’universo sonoro disegnato da Stockhausen. Dalla sintonia dei gesti e dagli sguardi di intesa tra gli interpreti, guidati da Tonino Battista, riprende forma quell’insieme di corrispondenze e specchi, sulle quali è fondata la struttura stessa dell’opera. Nulla, in Kreuzspiel, viene lasciato al caso, ma tutto, dalle altezze alle durate, dagli attacchi alle dinamiche, finanche alla posizione degli strumentisti, è frutto di un calcolo preciso. La serie governa lo scorrere del tempo nella musica e sul palco, rapendo a sé tutti gli ascoltatori finché, una volta giunta la conclusione del pezzo, tutto si ferma. I movimenti spezzati dei musicisti, la mano alzata del direttore immortalano un’ultima istantanea dell’opera, mentre il pubblico osserva, anch’esso immobile e ammutolito, prima di rompere il silenzio con gli applausi, in un brusco ritorno al presente.
Di lì a poco seguiranno Vibra-Elufa, Zyklus, Refrain: ciascuno di essi è la chiave per una diversa sfaccettatura dell’universo musicale di Stockhausen languido, travolgente, etereo. Ne emerge un flusso sonoro apparentemente disarticolato ma che, in realtà, è connesso al suo interno grazie ad una fitta rete di legami e calcoli matematici, persino quando il discorso musicale è talmente frammentato da apparire quasi incomprensibile. Solo Ostinato, con l’esplosione del rullare delle batterie nel finale, riscuote il pubblico nel finale: un parossistico crescendo frantuma quel mondo astratto in cui, un po’ gli ascoltatori – e un po’, forse, la musica contemporanea stessa – sembravano essersi smarriti.
Testo a cura di Antonella Manca; foto di Roberto Testi