Castelnuovo-Tedesco: le registrazioni top

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Ogni mese  un critico racconta  un capolavoro e le sue incisioni più belle. Ecco Mario Castelnuovo-Tedesco, Concerto n.1 per chitarra e orchestra, ascoltato da  Marco Riboni

Dramma giocoso in due atti di Jacopo Nel Natale del 1938, Mario Castelnuovo-Tedesco (Firenze, 1895 – Los Angeles, 1968) era angosciato e preoccupato per la sciagurata promulgazione delle leggi razziali fasciste, avvenuta nel novembre precedente. Sapeva che di lì a poco sarebbe stato costretto a lasciare la sua adorata Firenze per emigrare negli Stati Uniti. Improvvisamente successe una cosa assolutamente inaspettata, come apprendiamo dalle sue stesse parole nell’autobiografia.

Un gesto di amicizia

«[…] Allora Segovia compì un gesto squisito, che non dimenticherò. In quel periodo in cui tanti colleghi mi voltavano le spalle (o almeno mi evitavano accuratamente), Segovia venne a Firenze apposta per passare le vacanze di Natale con me, e per incoraggiarmi a sperare in un migliore avvenire. Mi disse che non dovevo disperare, che avevo tanto talento e che in America avrei saputo rifarmi una vita; insomma mi confortò grandemente.

Ed io rimasi così commosso – scrive Castelnuovo-Tedesco – da quel suo gesto amichevole, che gli promisi che il primo lavoro che avrei scritto sarebbe stato il Concerto in re per chitarra e orchestra che tante volte gli avevo promesso».

Nasce il Concerto

Durante le vacanze venne scritto d’un fiato il primo movimento. Segovia lo collaudò e poi partì per l’America del Sud. Castelnuovo-Tedesco completò l’opera nel gennaio del 1939. La prima esecuzione avvenne a Montevideo il 28 ottobre 1939. Suonava l’orchestra S.O.D.R.E., direttore Lamberto Baldi, chitarrista ovviamente Andrés Segovia. Fu la prima esecuzione nel ‘900 di un concerto per chitarra e orchestra.

Da allora il Concerto n. 1 ebbe esecuzioni in tutto il mondo; ma il compositore toscano lo ascoltò per intero a Los Angeles solo dopo circa trent’anni. Per ovviare alle deboli sonorità della chitarra, l’orchestra è ridotta all’osso e interviene con la massima discrezione. Come disse l’autore, « […] cercai insomma di dare l’apparenza dell’orchestra, ma non il peso».
L’opera fu poi pubblicata da Schott nel 1954.

Le migliori registrazioni del Concerto

Mario Castelnuovo-Tedesco: le registrazioni top
Andrés Segovia

Una decina di anni dopo la prima esecuzione assoluta, Andrés Segovia effettuò anche la prima registrazione, a Londra nel 1949 negli Abbey Road Studios: l’incisione prese un paio di giorni (11 e 12 luglio), l’orchestra era la New London Orchestra, il direttore Alec Sherman e il tutto venne pubblicato quasi subito in tre dischi a 78 giri (i movimenti erano divisi in due a causa degli scarsi minutaggi che quel supporto poteva contenere) e un paio di anni dopo su lp (Columbia, 1951).

La qualità sonora è eccellente per gli standard dell’epoca. Segovia in quegli anni era al massimo della forma, con la sua fortissima e straripante personalità che dominava quasi l’orchestra. Si tratta insomma di una delle migliori incisioni del grande Andaluso; rimase per decenni un punto di riferimento assolutamente ineludibile per tutti i chitarristi. Da notare che ai tempi le registrazioni erano live, ossia senza alcun ausilio di montaggio; infatti vi fu un piccolo incidente, in quanto nel primo movimento Segovia entrò con una battuta di anticipo ma riuscì a mascherare con maestria l’errore.

Un quasi monopolio

Lorenzo Micheli

Con la pubblicazione del Concerto solamente nel 1954, di fatto Segovia per quindici anni detenne il monopolio esecutivo dell’opera. Grazie anche al suo grande ascendente sul mondo della chitarra, divenne ben presto popolarissima e seconda in questo solo al mitico Concierto de Aranjuez di Joaquín Rodrigo. Fu inciso da quasi tutti i “grandi vecchi” del ‘900 (John Williams, Narciso Yepes, Alirio Diaz, Pepe Romero); curiosamente, manca all’appello il più rappresentativo, ossia Julian Bream.

Questa grande popolarità, pienamente meritata in quanto il Concerto è veramente molto bello, si trasmise alle successive generazioni di chitarristi, che seppero raccogliere la preziosa eredità interpretativa dei loro predecessori. Fra le innumerevoli nuove registrazioni, merita di essere segnalata per la sua eccellenza quella di Lorenzo Micheli (Brilliant, 2005).

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