All’Auditorium Pedrotti di Pesaro quest’anno ha avuto luogo, nell’ambito del Rossini Opera Festival, il «Cabaret Rossini», con la drammaturgia di Emilio Sala e la regia di Filippo Crivelli. Protagonisti sul palcoscenico i cantanti lirici Daniele Antonangeli, Anna Bonitatibus, Ruzil Gatin, Sofia Mchedlishvili, i musicisti Eugenio Della Chiara, Gabriel Martinotti e Antonio Ballista. Capace quest’ultimo di coniugare il virtuosismo della tastiera del pianoforte con una garbata ironia affinata chez Paolo Poli.
«Cabaret Rossini» non è stato solo uno spettacolo gradevole, ma una serata speciale. La vita ha fatto irruzione in salotto senza chiedere permesso, con la piena del talento di un ospite di riguardo: Massimo Ranieri. Con quella sintonia rabdomantica che lo distingue, il grande attore ha celebrato con eleganza di pensiero l’importante anniversario rossiniano.
Chiedersi il perché e come mai di questo invito non resta senza risposta. Pecca di superficialità chi ritenga strana la presenza di Massimo Ranieri nella cornice di una manifestazione come il Rossini Opera Festival. Il sodalizio artistico di Ranieri con la musica classica in generale e l’opera in particolare è storia articolata. Non si esaurisce con l’esperienza abbastanza recente delle regie d’opera. Ha radici profonde. Vale da esempio una prova impegnativa nella storia della musica italiana: il disco «Meditazione» (1975) che rivisita con gli arrangiamenti di Eumir Deodato, Benedetto Marcello e Franz Schubert, Chopin e Massenet, Albinoni e Rodrigo. Altrettanto bella la lettura affettuosa di «Pierino e il lupo» con I Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone. Una dimestichezza colta e coltivata con la grande musica. Con dedizione sincera. Che si è ritrovata ora in «Cabaret Rossini». In scena accanto al pianoforte, tra le ali di velluto del sipario, Massimo Ranieri ha saputo portare tutte le gradazioni dell’espressione e dell’espressività. Stupore, allegria, collera, dolore.
Occasioni di gioia offerte allo spettatore. Cominciando da una scommessa ardua per qualunque interprete: «Le 29 février», divertimento musicale per il compleanno di Rossini, composto da Gustave Nadaud, brano che esige di trovare e allo stesso tempo reinventare il gusto francese. E arrivando poi alla celeberrima travolgente «Tarantella» di Rossini. Cantata da Ranieri, la tarantella è tornata a casa, sfrenata e malinconica, quasi che l’invisibile luna in mezzo al mare evocata dai versi si materializzasse a sovrastare la platea dell’Auditorium. Le pareti del salotto qui sono crollate senza rimpianto, disvelando il mondo luminoso e vasto di un artista che parte da se stesso e giunge dove vuole, senza dimenticare il regno della canzone. A rievocare il legame speciale che si instaurò tra Gioachino Rossini e Napoli sono servite infatti due pietre miliari della nobile tradizione partenopea. «Cannetella», una storia in musica che svela un segreto, un grande mistero del cuore. E «Fenesta vascia», serenata senza speranza recitata prima ancora che cantata. Ogni emozione ha risposto all’appello della melodia e si è ampliata in una ricerca di gesto e di sguardo.
Gioachino Rossini nella grandiosità della sua creazione musicale ha abbracciato l’animo umano, l’ha esplorato e ci si è inabissato con generosità e coraggio, senza paura, riemergendo sempre con nuovi trofei di arte tra le mani. In questo senso Massimo Ranieri lo ha interpretato appieno. Superando una distanza temporale di secoli ha composto, nel corso di questa serata di spettacolo, un ideale dialogo tra anime. Questi casi sono sempre più rari nel nostro teatro. Farne tesoro e trarne lezione potrebbe essere una strada intelligente verso il futuro. Il concerto è stato videoproiettato in diretta in Piazza del Popolo, in collaborazione con il Comune di Pesaro. Una scelta che lascia ben sperare.