La ventunesima edizione del Barocco Festival Leonardo Leo ha avuto inizio il 23 agosto con la prima esecuzione in tempi moderni de La Contesa dell’Amore e della Virtù, una festa teatrale composta da Leo nel 1744 su libretto anonimo, per le nozze del Real Delfino e della Reale Infanta di Spagna.
L’inedito titolo si aggiunge ad un copioso elenco di opere recuperate dal 1997, anno di fondazione della rassegna, ad oggi grazie alla pluriennale attività di ricerca del maestro Cosimo Prontera, direttore del Centro Studi e Documentazione Leonardo Leo e direttore artistico del festival, il quale ha curato la trascrizione e la revisione musicale della partitura. La struttura formale de La Contesa dell’Amore e della Virtù sorprende per la cura dei dettagli e rivela un segno molto ricercato tanto nelle linee melodiche quanto nelle armonie. La ben sortita compagine orchestrale e vocale ha realizzato una pregevole esecuzione proposta in forma semiscenica nell’antico Chiostro dei Domenicani a San Vito dei Normanni, città natale di Leo. Sul podio dell’orchestra barocca La Confraternita de’ Musici, Cosimo Prontera, per l’occasione direttore al cembalo, ha guidato con destrezza strumenti e voci, e il gesto elegante si è tradotto in suono pieno e fraseggio espressivo. Apprezzabile la prova dei cantanti Agata Bienkowska (Amore), Claudia Di Carlo (Virtù) e Angelo De Leonardis (dio Marte), il quale ha anche curato la revisione del libretto, l’adattamento e la regia dell’esecuzione, interpreti della vicenda che vede al centro il perenne contrasto tra ragione e sentimento, lietamente risolto con l’intervento propizio degli dei.
Per saperne di più sul festival, abbiamo avuto un gradevole scambio di battute con il maestro Prontera che ci ha illustrato i tratti più significativi del progetto artistico e culturale.
Maestro, ci racconti la storia di questo festival che, dalle sue origini fino ad oggi, si conferma fra le più interessanti rassegne di musica antica.
«Il festival nasce ventuno anni fa, per volere di una amministrazione avveduta di quel periodo, a San Vito dei Normanni, città natale di Leonardo Leo. L’occasione fu il terzo centenario della morte del compositore celebrato con un convegno internazionale dove presentai un lavoro scientifico sulle Toccate di Leo, mai realizzato prima di allora; da lì scaturì la proposta di creare un festival dedicato al genius loci, che oggi vanta ventuno anni di storia. Fin dall’inizio il progetto ha avuto due obiettivi principali: il primo è evidentemente recuperare la musica di Leonardo Leo. Riguardo all’attività di recupero vorrei sottolineare quanto sia cambiata nel tempo la comunicazione poiché, mentre oggi i tempi per la richiesta di consultazione o di spedizione di una partitura sono abbastanza veloci, vent’anni fa bisognava aspettare tre-quattro mesi per disporre di un manoscritto e farlo rientrare nel percorso di recupero della letteratura leana. L’attività di ricerca è continuata costantemente nei ventuno anni del festival fino all’esecuzione de “La Contesa dell’Amore e della Virtù” che ha inaugurato l’edizione 2018. Questo titolo ha acceso la mia curiosità in quanto ero a conoscenza della conservazione del manoscritto autografo alla Biblioteca Nazionale di Francia e attualmente la mia attenzione è rivolta principalmente agli autografi di Leo. Questa attenzione è scaturita soprattutto dopo aver acquisito il manoscritto autografo del dramma sacro “Santa Maria Maddalena”».
Di cui abbiamo dato qualche anteprima già lo scorso anno.
«E sul quale più avanti dirò ulteriori novità. Intanto, al riguardo mi preme dire che per un musicista avere sotto le dita un manoscritto autografo, in questo caso lo stesso con il quale Leo ha diretto la medesima opera, e lo affermo perché esiste una copia d’uso del direttore al cembalo che certamente sarà stato Leo, è una emozione indescrivibile. Per me, musicista prima di tutto, questo è molto fascinoso, io vivo di queste emozioni. Poi evidentemente ci sono gli aspetti scientifico e filologico di una esecuzione storicamente informata, ma uno dei motivi della mia attenzione per cui in quest’ultimo periodo mi sto dedicando soprattutto alla ricerca delle composizioni autografe è certamente quello emozionale».
L’elenco dei recuperi compiuti nel corso degli anni è abbastanza ricco. Vogliamo ricordarne qualcuno, fra i tanti?
«Tra le opere recuperate ci sono “Zenobia in Palmira”, “La semegliante de chi l’ha fatta”, i quattro Intermezzi, i Concerti per violoncello, “Il Demetrio”. E tante altre».
Probabilmente, fino a qualche anno fa, il nome di Leo era legato esclusivamente all’opera “Amor vuol sofferenza”.
«In effetti sì. Non si parlava molto di Leonardo Leo se non in ambienti strettamente specialistici. Con questa costante azione di recupero abbiamo creato opinione intorno alla figura del compositore, e questo è il secondo obiettivo del progetto, in quanto sono convinto anche dell’importanza di un riferimento territoriale e delle radici storiche. Napoli e Parigi nel Settecento erano le capitali della cultura musicale europea e non è un caso che il Barocco Festival viaggi su due binari essenziali: recuperare la musica di Leonardo Leo e metterla a confronto con i compositori di scuola napoletana coevi e con quello che accadeva in Europa in quel momento».
In ventuno anni di attività come è cresciuto o cambiato il rapporto del festival con il pubblico e il territorio?
«Fin dall’inizio il festival ha proposto sempre il meglio di quel che poteva offrire, invitando musicisti di livello, molti dei quali oggi sono professionisti tra i più prestigiosi nel panorama mondiale di musica antica; fino ai giorni nostri ha ospitato tanti nomi importanti i quali hanno dato estrema qualità al festival e sono diventati ambasciatori di questa realtà».
Che nel tempo ha acquisito un carattere internazionale.
«Vero. Ora si auspica un altro obiettivo, ovvero non etichettare il festival come una semplice successione di concerti, ma farvi approdare qualche opera di teatro musicale, non solo di Leonardo Leo ma anche di altri autori di età barocca e di scuola napoletana in particolare. L’aspetto concertistico è stato molto indagato, e ora vorrei davvero che il festival compisse quest’altro passo. Ma come si sa, la messa in scena di un’opera ha dei costi importanti».
Vogliamo tornare in breve alle novità sull’opera Santa Maria Maddalena?
«Si tratta di un dramma sacro, non un oratorio. I personaggi della vicenda sono recuperati dalla letteratura sacra, tuttavia, per il loro vissuto, il loro operato, e anche per la lingua, il napoletano, si collocano geograficamente nell’are partenopea. Sono stati avviati contatti concreti con la comunità di Atrani, cittadina del comprensorio della Costiera amalfitana che include Ravello dove si svolge un festival importante. L’auspicio è di poterla realizzare il prossimo anno. Vediamo».