A Buenos Aires in scena Letter to a man di Wilson-Baryshnikov

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Dopo il grande successo internazionale di The Old Woman, uno dei migliori registi torna ad unirsi ad uno dei migliori ballerini: sul palco del Teatro Coliseo del Palazzo Italia di Buenos Aires, Mikhail Baryshnikov interpreta la “lettera a un uomo” ideata da Robert Wilson.

Lo spettacolo basato sui diari di Vaslav Nijisnky, considerato da molti il più grande ballerino e coreografo del secolo scorso, ha debuttato al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 2015 e dopo gli spettacoli a Parigi, Barcellona e Atene nel 2017, arriva per dieci giorni alla capitale argentina. Buenos Aires, città del tango e altre passioni, dove il 10 settembre del 1913 Nijinsky sposò Romola de Pulszki, provocando un enorme scandalo dovuto specialmente alla sua relazione con Serge Diaghilev.

Il “dio della danza”, creatore tra altre della coreografia della Sagra della Primavera, bisessuale, esistenzialista, ateo e credente allo stesso tempo, nel 1919, poco prima di entrare in un manicomio, scrive pagine di diario. Pagine piene di dialoghi, riflessioni e contraddizioni che la moglie Romola pubblica nel 1936 ancora in vita di Vaslav, e che verranno pubblicate e tradotte completamente in Francia solo nel 1995. Pagine che rivelano l’instabilità dell’artista russo, il suo entrare e sprofondare nella schizofrenia. «Non scrivo per far passare il tempo. Voglio far comprendere alla gente la vita e la morte. Amo la vita. Amo la morte». «Non sono Dio, sono una bestia. Non sono Dio. Sono Nijinsky. Non sono Diaghilev. Sono Nijinksy. Sono io. Sono Dio». Dalle parole profonde, drammatiche e anche ironiche del ballerino, Wilson e Baryshnikov ricreano l’abisso e il dubbio labirintico dell’uomo in uno spettacolo unipersonale di un’ora e dieci che travolge gli spettatori in modo breve ma intenso.

Baryshnikov appare in scena su una sedia bianca sospeso in aria, indossa uno smoking nero simile a quello indossato da Nijinsky per il suo matrimonio e con il viso e le mani dipinte di bianco sembra richiamare un mimo. Nel susseguirsi dei “quadri” dettati dai cambi di luce, sfondo e specialmente dalla musica e dai suoni (di Hal Willner), il ballerino-attore si muove, si ferma, balla e riflette alle parole che arrivano amplificate nella sala. Si tratta delle parole scritte da Nijinsky in quelle sei settimane prima di sprofondare nella follia. Frasi in inglese, russo e francese sfiorano la relazione del ballerino russo con Dio, Diaghilev, la morte, la guerra e la vita in generale. I frammenti recitati da tre voci diverse (quelle di Baryshnikov, Wilson e della coreografa Lucinda Childs) in più toni, lingue, velocità e ripetuti più volte, quasi si volesse perdere il senso del detto, ricreano caratteri e sensazioni contrastanti che convivono nella personalità di Nijinsky.

Così come Baryshnikov balla su una lieve musica da festa degli anni Venti, rincorre pupazzi che scivolano sulla scena come pedine o marionette e si dispera ai rumori di spari della guerra, le voci ridono, urlano e giocano sovrapponendosi, creando una colonna sonora disegnata sulla pazzia del protagonista. La semplicità delle scene, spesso caratterizzate da un unico sfondo proiettato, lascia spazio alla desolazione dell’uomo che risulta quasi troppo bella e formale per toccare in profondità lo spettatore. Caratteristica delle opere di Wilson è la coordinazione dei vari elementi quali luci, rumori, musica, elementi scenici e interprete che reagiscono e si muovono in un ballo di scatti e sorprese, ricordando un susseguirsi di fotografie (non a caso l’ultima mostra di Robert Wilson a Villa Panza-Varese Tales è composta da video portraits).

Nella litania delle voci narranti e nella semplicità delle scenografie, l’attore Baryshnikov diventa una personalità in più nella nebbia delirante di Nijinksy. Soltanto alla fine, con un palco nel palco e due cigni come pubblico si ri-presenta come antipode dell’uomo a cui dedica la sua lettera: «Tu sei morte. Io sono vivo». «Sono il tuo re. Sono Nijinsky». Un metateatro per contenere la pazzia, che allo stesso tempo sembra così neutrale e malleabile da poter far parte dell’uomo comune o, come dice Baryshnikov, «da poter succedere a chiunque».

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