Birgit Nilsson, una vita per l'opera

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Isolde, Brunnhilde, Salome ed Elektra ma anche Turandot: sono i ruoli con cui Birgit Nilsson è entrata nella storia dell’interpretazione. Ritratto del soprano svedese a cento anni dalla nascita

di Giovanni Gavazzeni

Birgit Nilsson
Birgit Nilsson durante la recording session di Tannhäuser a Berlino nel 1968

È il 18 dicembre 1959. Fuori dalla vecchia Metropolitan Opera House si chiama un taxi aggiuntivo per caricare le montagne di fiori che il pubblico entusiasta ha recapitato alla debuttante Isolde, Birgit Nilsson.

Il tassinaro chiede al soprano venuto dalla Svezia: «Siete quella che il giorno prima di fare l’esame per l’Accademia musicale di Stoccolma ha munto dieci mucche?». Alla risposta affermativa, conclude: «Allora meritate ogni singolo fiore».

Gli esordi

Oggi i tassisti di New York non conoscono quasi nemmeno le strade di Manhattan, figuriamoci le eroine di Wagner. L’aneddoto raccontato dalla protagonista nella sua sobria autobiografia (La Nilsson. La mia vita nell’opera, 2007), rivela quanta strada la ragazza della contea di Scania (nata cento anni or sono, il 17 maggio 1918, sono a Västra Karup) aveva fatto nel decennio seguente la Seconda Guerra Mondiale.

Dai lavori umili nella grande fattoria di famiglia, alle corse in bicicletta per i primi rudimenti canori, arrivò all’Opera di Stoccolma; all’epoca era fucina di grandi voci, soprattutto tenorili, come dimostravano gli allora trionfanti Jussi Björling, Set Svanholm e Torsten Ralf. Birgit avrà la possibilità di cantare con tutti e tre.

Con Björling, «una voce che specchiava la primavera svedese – boschetti di betulle, cielo blu e erba fresca di rugiada, sotto la quale una febbre italiana covava come la lava del Vesuvio», inciderà a Roma la sua prima Turandot forgiata nell’acciaio svedese.

Degli altri due heldentenoren sarà spesso partner in opere di Wagner. Fra Svanholm e Ralf rimase incantata dal secondo.

«Tutte le sue note erano perle, sempre messe ben avanti in “maschera”’. Divenni totalmente dipendente da questa “cattedrale” sonora: cantava come volevo suonasse la mia voce».

Canti d’oro

Certo la scuola svedese a cui apparteneva era una bella garanzia. Uno dei più bei complimenti glielo fece il celebre e temutissimo direttore artistico della Voce del Padrone, Walter Legge.

«Adesso capisco perché sono centinaia di anni che la Svezia non è in guerra con nessuno. Chi vorrebbe ingaggiare battaglia con un nemico che ha simili munizioni?».

Ralf a parte, gli altri tenori che la conquistano furono l’ammaliante Giuseppe Di Stefano e soprattutto Beniamino Gigli, invitato a Stoccolma per una recita speciale di Tosca. Gigli, presentatosi accompagnato da genero, segretario, autista, parrucchiere, manager e medico personale, nelle quinte passeggia nervoso. Appena apre bocca la Tosca Birgit rimane impressionata.

«La sua voce era come un fiume d’oro colato. Poteva fare qualsiasi cosa: crescendo, diminuendo e ancora crescendo; senza cambiare registro e sempre mantenendo lo stesso suono seducente. Non era un attore, ma la sua voce diceva tutto».

I partner di Birgit Nilsson

La salute straordinaria e l’organizzazione vocale consentirono alla Nilsson di stare alla pari di molti colleghi tenori in opere spossanti per più di trent’anni. Cantò (oltre ai sopracitati) con Franco Corelli, Jon Vickers, Wolfgang Windgassen, Jess Thomas. Anzi addirittura una sera per stare a fianco alla sua Isolde ci vollero tre Tristani.

Ramon Vinay, il famoso tenore cileno titolare delle prime recite al Met, fu costretto all’ultimo ad annunciare che era malato. Il secondo tenore previsto per la copertura, l’insigne Karl Liebl, era fortemente raffreddato. Allora il leggendario General Manager Rudolf Bing ebbe un’idea per salvare la serata. Uscì davanti al pubblico e disse, dopo aver parlato con i medici e gli interessati, che Vinay avrebbe cantato il primo atto, Liebl il secondo e Albert Da Costa il terzo (che poi era l’unico che conosceva). Concluse fra gli applausi: «Fortunatamente l’opera ha solo tre atti».

Bing fu l’organizzatore a cui Birgit Nilsson fu più legata, anche per la sua  sollecitudine verso i cantanti. Bing espresse il desiderio che la Nilsson cantasse la scena finale di Salome nel gala di addio che il Met gli preparava. Il soprano rispose brillante: «Per aggiungere un po’ di eccitazione, potete portare la mia testa su un piatto d’argento».

Qualcuno sentì la battuta. La sera del gala sul pianoforte in camerino, Birgit trovò una scultura della testa di Sir Rudolf, su un piatto d’argento! Dopo il concerto Bing disse al suo successore designato, Göran Gentele, venuto in camerino per i rituali saluti: «Ora puoi vedere come sia facile qui al Metropolitan far rotolare la testa del Sovrintendente».

Birgit Nilsson
Il ritorno al Met del 1979

I ruoli più famosi

Negli anni di formazione a Stoccolma Birgit Nilsson ebbe la possibilità di mettere a punto perfettamente il suo non vasto ma idiomatico repertorio, accompagnata da una scia di grandi direttori. Leo Blech, allora molto popolare nei luoghi essendosi rifugiato in Svezia durante il nazismo, le offre insieme al primo grande ruolo dell’autore d’elezione, Wagner, la scomoda parte di Senta nell’Olandese volante, una pastiglia di liquirizia per la gola che teneva sempre nella sua tasca.

Hans Knappertsbusch dirige un Ring che farà clamore e l’apprezza molto come Sieglinde (sarà poi quello che la raccomanderà a Bayreuth). Quello di Stoccolma è un Ring particolare.

«I giorni passavano e non si provava mai. Vedevamo “Kna” attraverso la finestra del bar del teatro seduto a bere il suo aperitivo preferito: il punch svedese. Non credo abbia fatto alcuna prova; ma quando stava sul podio – due metri di genio in bretelle – i musicisti erano in paradiso».

Macbeth e Aida

Fritz Busch («calmo, capace, autorevole con l’orchestra e i solisti, senza impudenza né sfuriate: lo chiamavamo Padre Busch») la vuole Lady Macbeth. Dopo la prima rifiuterà l’uso della casa che prevedeva un soprano in quinta per emettere il re bemolle sopracuto pianissimo che i soprani sfogati scandinavi e teutonici non avevano. Ma non lei.

Il proficuo lavoro verdiano proseguirà con Aida, tanto che il soprano confesserà di aver «approfittato enormemente del lavoro con Busch. Aida enfatizza un canto più morbido e lirico rispetto ai ruoli precedentemente sostenuti; mi fu permesso di fare sfumature e sviluppare dinamiche in piano e pianissimo».

In concerto partecipa alla Nona di Beethoven diretta dal carismatico Erich Kleiber. «Dirigeva con gesti corti, stretti. Sembrava che volesse compensare la sua piccola taglia con frustate simili a quelle di un domatore». Oltre a Wagner e Verdi, Birgit studia Lisa per una Dama di Picche di Čajkovskij che nel ’49 scatena una “Drobrowenmania”. Il «fiero e temperamentoso» direttore russo-norvegese Issay Dobrowen «domandava una dedizione totale sul palcoscenico, infiammando orchestra e coro ad un’intensità inaudita».

Una storica Salome

Nel ’53 giunge il primo grande ruolo del teatro di Strauss, Salome (gli altri saranno la sua titanica Elektra e l’umanissima Moglie del tintore della Donna senz’ombra). Per Salome ha ceduto alle pressioni telefoniche incessanti e «terroristiche» del regista (e futuro Sovrintendente, Göran Gentele). L’esito è clamoroso.

«Ci furono svenimenti e malattie. La moglie del ministro delle finanze ebbe un aborto spontaneo. La perversa e depravata Salome fu incolpata di tutto».

Il coraggio che ci vuole per cantare Isolda o Brunnhilde, Salome ed Elektra, le servì anche per sfidare i capricci di certi superdivi; come Herbert von Karajan, il quale a Vienna, alla Scala o a New York non mancava di sottolineare il forte attaccamento alla pecunia della cantante. Però in quel momento non ne poteva fare a meno per Brunnhilde o Leonore. Karajan arrivò durante una prova a fermare l’orchestra dicendo alla Nilsson, «facciamolo ancora, ma questa volta con un po’ di cuore. Quello è il posto dove tenete il vostro borsellino». Replica: «Oh Maestro, sono così contenta di aver trovato qualcosa che abbiamo in comune».

Alle prove di Valchiria al Met, Birgit/Brünnhilde si presentò in scena con un casco dei tecnici con la luce accesa. Voleva sottolineare l’eccessivo e inutile buio che gravava sempre sulla scena voluta dal Karajan-regista. Garbo-Karajan, come lo chiamava Birgit, non era spiritoso, e si offese. Birgit, donna semplice e schietta, invece, aveva un forte senso dell’umorismo.

Una donna di carattere

Quando Corelli seppe che lei aveva un pianoforte nel camerino, lo chiese a Bing (che non negava nulla pur di tenerlo tranquillo). Essendo in trasferta, a Philadelphia, si chiese al soprano se avesse consentito a spostare lo strumento nel camerino del tenore. «Volentieri», rispose, «ma non ho assolutamente tempo per dargli lezioni di piano».

Un recital alla Philharmonic Hall di New York, 1965

Birgit non ebbe nemmeno paura di chiedere agli autocratici fratelli Wieland & Wolfgang Wagner che pagavano cinque volte meno di qualsiasi altro teatro, un meritato aumento del 50 per cento del cachet (poi esteso a tutti gli scritturati del Festival).

A Vienna, con Hermann Weigert

Se la città dei sogni fu Vienna e la sua Staatsoper, Bayreuth fu il luogo d’elezione e di costante apprendimento. Perché lì ebbe la possibilità di ri-studiare (ed eliminare vecchi errori) con il più fenomenale preparatore wagneriano. Era Hermann Weigert (marito dell’ammirata collega Astrid Varnay).

Weigert gli insegnò l’arte più difficile in Wagner: dove e come amministrare la voce; quando risparmiarla («l’orchestra è troppo forte non ti si sentirebbe»); o emergere («qui è trasparente e l’orchestra si deve subordinare all’accompagnamento del canto»). «Con simili pietre, Frau Nilsson, si costruiscono cattedrali». E, potremmo aggiungere, edifici che durano senza défaillance nel tempo.

Competizioni

Nonostante Birgit bramasse studiare un’opera nuova con il geniale Wieland, dovette attendere molti anni per debuttare Isolde. Intanto ripassava le parti delle riprese con la moglie-coreografa di Wieland, Getrud. Anche perché il Wagner Nipote maggiore aveva preso una “sbandata” colossale per un altro soprano (Ania Silja).

«Si diceva dovesse essere molto innamorato per trovare bella la sua voce. Penso che l’amore non sia solo cieco ma sordo», commentò la “dirottata” soprano svedese.

La Nilsson divenne la prima colonna di Bayreuth, quando, alla morte di Wieland, assunse il potere assoluto Wolfgang, collaborando soprattutto con il ruvido e prediletto Karl Böhm nel Ring e nel Tristan. Il successo è tale che al banchetto seguente il trionfo del Tristan, un insolitamente felice Böhm, afferma che avrebbe smesso di dirigere quando Birgit avesse smesso di cantare. Questo spinse il borgomastro di Bayreuth a dirle: «Signora Nilsson, saremmo onorati di seppellirla a Bayreuth!».

Riascoltare Birgit Nilsson

Negli anni ’60 incise tutto il suo repertorio maggiore; ma non amava le registrazioni in studio perché mettevano in risalto particolari timbrici a scapito delle voci. Piuttosto vale ascoltarla dal vivo, come consentono The The Great Live Recordings, raccolte da Sony in un cofanetto di 31 cd: Salome, Elektra e la Tintora; Isolde con Böhm, Brunnhilde con Kna e Karajan e Turandot con Stokowski e Leonore con Bernstein.

Ancora integra vocalmente La Nilsson decise di ritirarsi nel 1982, a 64 anni, senza tenere un concerto di addio. Sarebbe morta più di 20 anni dopo, il 25 dicembre 2005. All’inizio della carriera aveva assistito alla recita d’addio della Bjöker. Era «come essere alla veglia del proprio funerale. Giurai allora che non avrei mai fatto una recita di addio». E così fu.

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