I modi semplici e diretti di Sir George Benjamin, il suo sorriso e la leggerezza a tratti autoironica, unite alla voglia di raccontarsi, hanno conquistato il pubblico che è accorso numeroso nella Sala Delle Colonne di Câ Giustinian, sede della Biennale veneziana, per conoscere più da vicino il celebre compositore inglese, premiato con il Leone d’oro alla Carriera.
Le domande poste da Ivan Fedele, direttore della Biennale Musica, e dal musicologo Cesare Fertonani hanno contribuito a stagliare il ritratto di un artista curioso, un “classico del nostro tempo”, come lo ha definito Fedele, radicato nella tradizione ma libero da griglie rigide grazie a una passione per il suono che trascende e trasforma percorsi linguistici consolidati.
George Benjamin
Si ha la sensazione che ogni evento della vita rappresenti per Benjamin una occasione preziosa per riflettere, scavare nel fondo dell’anima umana.
Perché, al di là della straordinaria cultura, non solo musicale, che lo nutre, ciò che emerge e conquista anche i neofiti è un’umanità capace di donarsi, aprirsi, condividere le proprie emozioni e stupefazioni.
Quando risponde a una domanda, che si tratti di ricordare amici e colleghi, o di riflettere sul ruolo dell’artista oggi, i suoi occhi talvolta si chiudono, come per cercare in fondo alla memoria particolari importanti da indagare, in un inesausto lavoro di esplorazione del proprio mondo.

Discepolo di Messiaen
Della figura di Messiaen, suo docente a Parigi, Benjamin ricorda i tratti gentili e accoglienti, sempre incoraggianti, con l’affetto grato di un discepolo che quella stessa tolleranza ha cercato poi di trasmettere ai propri studenti, anch’essi parte di un laboratorio creativo che non si esaurisce tra le pareti di uno studio ma che cerca di cogliere con verità le emozioni della vita scritte sulla pelle.
Written on skin è infatti il titolo del lavoro teatrale proposto da Benjamin per il concerto di premiazione, opera lirica considerata tra le migliori dell’ultimo ventennio e presentata a Venezia in forma di concerto. Il suo talento non è assillato dall’incalzare dei ritmi produttivi ma sa attendere il giusto tempo richiesto dall’atto creativo.
Autenticità e dettagli
“Amo il dettaglio” – racconta Benjamin – “ se non arriva devo aspettare e prendo tempo. La prima scena di Written on skin, che dura otto minuti, mi è costata sei mesi di lavoro. Ogni particolare, armonico, polifonico, è legato alla struttura”. Colpisce questo sapere attendere come tratto caratterizzante di un’umanità che recupera il rispetto sacro per la verità dell’atto creativo.
Ai giovani che vogliono intraprendere il cammino compositivo consiglia: “Siate autentici, fiduciosi, ostinati, decisi. Gli artisti sono certo degli intellettuali ma il motivo principale per cui un compositore scrive musica è perché lo desidera più di ogni altra cosa al mondo. Questa autenticità è la magia più grande, capace di commuovere le persone”.
Immagine di copertina Ph. Matthew Lloyd