Gli ultimi giorni di Biennale Musica, al Teatro Piccolo Arsenale di Venezia, sono stati animati da Aliados; lo spettacolo racconta l’incontro tra Pinochet e la Thatcher dopo la guerra delle Falkland/Malvine. Meno efficaci le quattro short stories a tema grottesco

Agli ultimi due giorni della Biennale Musica il concerto dell’ottimo Quartetto Untref, argentino (ricordiamo i lavori di Gabriele Manca e Julio Estrada) si incuneava tra Aliados (2013) del franco-argentino Sebastian Rivas (1975), Leone d’argento, e i quattro lavori di Biennale College. Aliados (Alleati, 2013) è ben diretto da Léo Warynski, con efficace regia di Antoine Gindt e ottimi interpreti; rievoca l’incontro (realmente avvenuto a Londra nel 1999) tra il generale Pinochet e Margaret Thatcher, che lo volle ringraziare per l’aiuto nella guerra delle isole Falkland/Malvine.
I personaggi
Nel dialogo tra i due ormai lontani dal potere (e assistiti nella loro decadenza senile da un aiutante di campo e da una infermiera) i luoghi comuni enunciati con apparente pacatezza rivelano un agghiacciante cinismo, grazie anche agli interventi di un quinto personaggio dalla vocalità aggressiva e violenta. È un soldato argentino mandato al macello nella assurda guerra delle Falkland. Lo vediamo subito, cadavere coperto da un lenzuolo; la sua voce irata e disperata conferisce particolare intensità all’inizio dell’opera e ai momenti in cui ritorna.
Nel delineare il cinismo dei due vecchi protagonisti la musica fa ampio uso di allusioni a linguaggi diversi (e talvolta di citazioni); e lo fa sempre con una funzione drammaturgica evidente, con bravura ed efficacia. Forse è rimasto qualcosa di didascalico nell’impegno politico di Aliados; nel complesso suscita la massima adesione morale, e un vivo interesse per i lavori recenti di Rivas.
Gli altri spettacoli alla Biennale Musica
Il grottesco, o comico surreale era il tema obbligato per i quattro brevissimi atti unici di Biennale College Musica. Questo obbligo e il limite dei venti minuti di durata, uniti a ingenuità e inesperienza, rischiano di spingere ad esiti banali o davvero improponibili.
Tra i testi, la proposta meno improbabile era forse la trovatina del gioco surreale con Dalì e Picasso di Ignacio e Jorge Ferrando (valorizzato dalla regia di Irene Di Lelio); si accontentavano di idee musicali vecchiotte e poco interessanti.
Colpiva invece la musica della greca Sofia Avramidou (1988) nel gioco tra le voci leggere di Hänsel e Gretel. Buono il piccolo ensemble (l’ottimo Ensemble Novecento di Santa Cecilia) in Rodi, rodi!; ma bisognava ascoltarla prescindendo dalla maldestra ingenuità di testo e drammaturgia nella rivisitazione della celebre fiaba posta in rapporto con l’alienazione televisiva. E solo ignorando la concezione di Trìstrofa si potevano apprezzare le qualità musicali di Elisa Corpolongo (1992). A chiudere infine Push! di Alvise Zambon.
Ci si domanda se non sarebbe meglio lasciare piena libertà, durate doppie e un tempo di elaborazione adeguato (più di un anno, non pochi mesi) per le prossime edizioni.
Paolo Petazzi