In scena al Teatro alla Scala, l’opera “Il pirata” di Vincenzo Bellini ha riscosso le lamentele del pubblico. Tra i punti deboli, la regia e i costumi

L’esito turbolento de Il Pirata di Vincenzo Bellini, tornato al Teatro alla Scala sessant’anni dopo l’ultima ripresa risalente all’evo callasiano, è stato (tanto) rumore per nulla? No, secondo la piccionaia della Scala che ha contestato al termine dello spettacolo. Sì, secondo chi, a naufragio avvenuto, sottolinea la “mala educaciòn” loggionistica, spauracchio per i cantanti avviliti e calpestati, che rifiuterebbero vieppiù di esibirsi nel tempio lirico dell’architetto Piermarini.
L’opera: “Il pirata” di Vincenzo Bellini
Va premesso che l’esito negativo non è ascrivibile all’opera, rivelatrice del genio precoce di Bellini. Basterebbe il cataclisma corale d’apertura («Ciel, qual procella orribile»), oppure lo splendore delle sortite dei tre co-protagonisti. La celebre ispirazione melodica belliniana si mantiene fluente e molto alta per tutta l’opera, da «Pietosa al padre» nel Duetto dell’agnizione degli antichi amanti nel primo atto al sublime finale secondo, «Col sorriso d’innocenza».
Purtroppo i malumori del loggione non sono caduti come fulmini a ciel sereno, e nemmeno senza ragione. Non hanno soccorso né la regia di Emilio Sagi (definirla anonima è già tanto); né le scene di design di Daniel Blanco; né il guazzabuglio dei costumi (firmati da Pepa Ojanguren).
Imogene sposa bianca made-in-china, il Pirata Gualtiero in spento capottino velvet, il “villano” Ernesto in goffa divisa ottocentesca, il Solitario eremita Goffredo unico bucaniere in franchigia. Travestimenti ed equivoci sentimentali sono rimasti alla libera interpretazione del pubblico più volenteroso, quello che seguiva il libretto sui display.
Gli interpreti
Sul versante musicale ha trionfato, e con pieno merito, Sonia Yoncheva (Imogene), voce di rara bellezza (soprattutto nei “centri”) e in possesso di una dizione italiana più che soddisfacente. Un soprano lirico spinto che si muove con destrezza anche nel cosiddetto belcanto. Contendevano gli onori della ribalta al soprano bulgaro il volenteroso tenore Piero Pretti (nel ruolo impervio, non solo per lui, del titolo) e il baritono Nicola Alaimo (il suo “persecutore” Ernesto), tanto bravo nei ruoli di carattere quanto pesce fuor d’acqua come truce duca di Caldora.
Le responsabilità pertengono, nel bene e nel male, anche a chi distribuisce i ruoli. Quelli comprimariali erano eccellenti, affidati al basso Riccardo Massi (Goffredo) e al tenore Francesco Pittari (Itulbo). Strali poco pietosi verso l’impegno del direttore d’orchestra, Riccardo Frizza; si è trovato, per togliere le parole alla primadonna, a solcare «un mar crudele». Le acque scaligere sono come quelle dello stretto di Messina attraversato dal Pirata Gualtiero; al lettore immaginare chi sia Scilla e chi Cariddi.
Giovanni Gavazzeni