Atelier Musicale: Paolo Tomelleri Settetto, Oldies but Goodies

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Un lungo percorso tra musica leggera e jazz sui principali palcoscenici italiani e internazionali. È superfluo presentare Paolo Tomelleri perché è la sua carriera che parla per lui. Lo si ascolta con attenzione mentre annuncia i brani che sta per eseguire e colpisce l’entusiasmo, il coinvolgimento e il piacere di suonare che comunica con lo sguardo e l’espressione del viso.

La venticinquesima edizione dell’Atelier Musicale, organizzata dall’Associazione Culturale Secondo Maggio con la direzione artistica di Giuseppe Garbarino e Maurizio Franco, si apre presso la Camera del Lavoro di Milano con un concerto del clarinettista e sassofonista vicentino che, all’alba delle ottanta primavere, trasmette più che mai passione ed energia ai suoi spettatori. È lui alla guida del settetto con cui propone un programma particolarmente originale, una serie di vecchie pagine ormai completamente dimenticate dai jazzisti contemporanei. Come sottolinea Maurizio Franco nell’introduzione all’evento, il repertorio presentato da Tomelleri riassume la sua visione del jazz, un brillante mainstream frutto della sintesi tra Swing e Bebop.

Ragamuffin Romeo, un brano degli anni Venti contenuto nel film King of jazz del 1930, mette subito in luce le potenzialità dell’organico strumentale, che valorizza al meglio la voce morbida ed espressiva di Irene Natale. Travellin’ all alone e Miss Brown to you, i due titoli che seguono, rappresentano in un certo senso un omaggio a Billie Holiday, una tra le interpreti vocali più dotate nella storia del jazz e del blues, che nella sua carriera fra gli anni Trenta e Cinquanta inserisce più volte queste due canzoni nelle sue esibizioni.

Moulin à café, un pezzo strumentale del clarinettista Sidney Bechet, è eseguito da Tomelleri e dai suoi compagni di palco a un’andatura assai più sostenuta di quella concepita in origine dall’autore. In questo brano il clarinetto mostra tutta la sua agilità, entrando in dialogo in scioltezza con la tromba di Emilio Soana e con il sassofono della nipote Sophia Tomelleri. Qui è la sezione dei fiati la vera protagonista e i tre si sovrappongono, si alternano e si rincorrono in assoli entusiasmanti.

Spaghetti a Detroit, la celebre melodia di Fred Bongusto, viene riproposta in una raffinata versione jazz, in cui il pianoforte di Fabrizio Bernasconi con un’introduzione prepara l’ingresso della voce di Irene Natale e trova spazio in un assolo che precede l’intervento solistico del contrabbasso di Marco Mistrangelo. Molto particolare è la versione di Cotton fields, un brano della tradizione folk americana di Leadbelly, dalla ritmica incalzante sostenuta dall’ottimo Tony Arco alla batteria, che valorizza la duttilità di Irene Natale in una serie di acrobatici virtuosismi vocali tipici dello jodel. No jazz, una struggente swing ballad di Romero Alvaro, crea un’atmosfera calda e avvolgente, che poi cede il passo all’agilissimo andamento di The banjo is back to town.

Una coinvolgente versione di Secret Love mostra un trasognato Paolo Tomelleri ascoltare sorridente a occhi chiusi gli assoli degli altri componenti del settetto, mentre Hold my hand di Fats Waller avvia in crescendo il concerto verso la sua conclusione. Il programma si chiude con Sultry Serenade di Duke Ellington, non prima che Paolo Tomelleri abbia ringraziato gli organizzatori, il pubblico e i suoi compagni di squadra, musicisti che definisce degli onesti artigiani che suonano uno strumento. In questa occasione allora, è il caso di dirlo, si tratta davvero di artigianato di qualità.

Immagine di copertina Paolo Tomelleri, Ph. Fabiana Toppia Nervi

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