La Cenerentola di francesca Lattuada al Teatro delle Muse di Ancona

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“Nacqui all’affanno, al pianto”, canta la protagonista della Cenerentola rossiniana, andata in scena al teatro delle Muse di Ancona il 14 ottobre 2018, a conclusione della stagione lirica anconetana. Nell’allestimento concepito, per la stagione lirica anconetana, dalla coreografa e regista Francesca Lattuada (con le luci di Lucio Diana), la protagonista dell’ultima opera buffa rossiniana, rappresentata per la prima volta a Roma nel 1817,  recupera la dimensione archetipica del sacrificio sanguinario e della crudeltà, propria delle fiabe: Cenerentola/Angelina interpretata con intensità, dal punto di vista vocale e scenico, dal mezzosoprano Martiniana Antonie, incarna perfettamente l’eroina distaccata e altera tratteggiata da Rossini e dal librettista Jacopo Ferretti, in cui il solo riferimento alla dimensione magica sembra essere sintetizzato dalla formula “Una volta c’era un re…”, che torna ripetutamente nel corso dell’opera.

La fanciulla orfana e schiavizzata dalla famiglia acquisita, si presenta in scena con grembiule di cuoio e coltello da macellaio; nel secondo atto affiderà al principe Ramiro non uno “smaniglio”, il braccialetto del libretto, ma una più seducente giarrettiera, mentre nel finale si trasforma in una Madonna dal volto nero di cenere (forse un omaggio alla Madonna di Loreto, cara agli Anconetani), quasi un’evangelica della dispensatrice di perdono.

A fare da contraltare a una figura già romantica, anche nelle interazioni con il Principe Ramiro, ovvero il bravo tenore Pietro Adaini, perfetto nel ruolo del tradizionale amoroso, la dimensione buffa del “dramma giocoso”, oltre che ai coloratissimi e spiritosi costumi di Bruno Fatalot, è scaturita dai personaggi di Don Magnifico (il baritono Pablo Ruiz), e delle sorellastre Clorinda e Tisbe (rispettivamente il soprano Giorgia Paci e il mezzosoprano Adriana Di Paola), le due metà di una stessa bambola che, con i loro sillabati e i relativi effetti onomatopeici, creano quell’effetto di straniamento tipico dell’estetica rossiniana. La scrittura vocale virtuosistica è tornata nei personaggi del cameriere Dandini, interpretato con grande verve dal bravo baritono Clemente Antonio Daliotti, soprattutto nel corso del travestimento da principe, e in quello autorevole dello ieratico Alidoro (il baritono Daniele Antonangeli).

A completare il cast, proveniente dalla fucina  pesarese dell’Accademia Rossinaina “Alberto Zedda” (Rossini Opera Festival), va annoverata la partecipazione dell’Ensemble Vocale diretto da Mirca Rosciani  (Daniele Adriani, Eros Antonelli, Cristobal Campos, Jaime Canto Navarro, Andrea Rubini, Mauro Faragalli, Andrea Ferranti, Francesco Paolo Panni, Alessandro Pucci, Piersilvio De Santis, Gianluca Ercoli, Matteo Mencarelli, Andrea Pistolesi, Bruno Venanzi, Andrea Goglio, Gianni Paci, Seryozha Stepanyan, Alessandro Vandin).

L’Orchestra Sinfonica “G. Rossini”, con la direzione di Giuseppe Finzi, ha cercato di restituire la sublime leggerezza dell’ardua partitura, forse più che la dirompente verve della musica rossiniana. Nonostante qualche imprecisione nei concertati, è emersa quindi una visione intrigante di un’opera-chiave, che mette «a fuoco le peculiarità espressive della musica di Rossini», che «riesce a rinnovare ogni volta la sorpresa di equilibri perfetti, che lascia in bocca il sapore della felicità» (Alberto Zedda).

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