Amadeusplaylist #iorestoacasa in cucina: un ricettario musicale da Galuppi a Martinů

in News
  1. Home
  2. News
  3. Amadeusplaylist #iorestoacasa in cucina: un ricettario musicale da Galuppi a Martinů

Basta fare un rapido giro sui social per rendersi conto di quanto gli italiani, ormai da qualche settimana, siano improvvisamente diventati tutti provetti chef. È proprio vero che in tempo di quarantena la casa offre nuovi e inaspettati stimoli produttivi! Non sarà dunque peregrina l’idea di dedicare il nostro weekly round-up of listening proprio alla tanto bazzicata cucina.

Prima di ogni cosa sarà però necessario controllare che tutte le stoviglie siano al proprio posto. Non ce n’è bisogno, dite? Nutrirei qualche dubbio in proposito. Vedete un po’ cosa accade ne La revue de cuisine del compositore ceco Bohuslav Martinů, balletto del 1927 da cui deriva una frizzante suite per sei strumenti (Christopher Hogwood, che ne curò l’edizione critica, la incise due volte). La frusta minaccia il matrimonio tra il coperchio e la pentola; quest’ultima soccombe alle smielate lusinghe, mentre lo strofinaccio fa l’occhio di triglia al coperchio, che viene subito sfidato dalla spazzola, a tempo di Charleston. Niente paura: con doppie nozze, trionferà felicemente l’amore come in ogni favola. Ci sono ovviamente casi meno avventurosi, come testimonia la gaia March Past of the Kitchen Utensils di Ralph Vaughan Williams, tratta dalla suite in cinque movimenti The Wasps (1909), ispirata alla pungente satira della celebre commedia di Aristofane.

È tempo ora di aprire il ricettario per farsi venire qualche succulenta idea. Uno francese del 1899 vi sembra un tantino antiquato? Beh, Leonard Bernstein non fu di questo avviso quando si ispirò a quello di Emile Dumont per scrivere La Bonne Cuisine per voce femminile (che squisitezza le interpretazioni di Mireille Delunsch e Patricia Petibon); quattro brevi brani-ricette di grande virtuosismo: Plum Pudding, Queues de Boeuf, Tavouk Guenksis, Civet à tout vitesse. Ma come impostare il menu du réveillon de la fin du confinement? Forse sarebbe meglio propiziarsi tutti i numi tutelari dell’ars coquinaria con l’Ode à la gastronomie di Jean Françaix (1950). Prendetevi una quindicina di minuti per assaporare questo particolarissimo brano per coro a cappella, che riformula l’ottocentesca saggezza racchiusa ne La physiologie du goût: vi stupirà la recente incisione dell’ensemble britannico I Fagiolini, diretto da oltre 30 anni da Robert Hollingworth (Decca 2016). 

Il vostro partner, per esasperarvi a tutti i costi, fa il bizzoso rifiutando di mangiare patate fritte, pane di segale, costolette di maiale e pancetta? Nat King Cole questo lo aveva già previsto e abilmente descritto nel divertentissimo Frim Fram Sauce (consigliatissima anche la più recente interpretazione di Diana Krall). A tutti quegli uomini che, dopo una dura giornata di smart working, si lamentano di cosa la moglie o il marito ha cucinato per cena – affermando cose del tipo: «you know that mess ain’t right» – sarà più che giusto rendergli la pariglia e offrir loro ironicamente lo standard di Fast Waller All that Meat and no Potatos – celebre nella versione del grande Louis Armstrong (Satch Plays Fats, 1955).

Ma adesso accendete i fornelli. Come assiette d’amuse-bouche non c’è nulla di meglio dell’album Cookin’ with Miles Davis Quintet (1957). Qualche ortaggio è poi sempre ben accetto, per spezzare la fame. Nel primo atto de Il filosofo di campagna di Baldassarre Galuppi (1754) troverete giustappunto tre canzonette dai pepati riferimenti erotici che Lesbina dedica al ravanello «di buon sapor», alla «fresca» cicoria e all’insalata, che freme di esser colta dalla mano di «un bello pastorello». 

Per chi avesse in mente di preparare un buon primo piatto ascolti il Coscoletto o Il lazzarone di Jacques Offenbach (1865), opéra-comique ambientata a Napoli ma dal carattere «éminemment français» che, a ritmo ternario di salterellante tarantella, si conclude nella cucina del pastaio Frangipani con una festosa mangiata di «maccheroni dorati». Per chi preferisce gli spaghetti, con trafilatura al bronzo, virare decisamente sull’opera di Marco Tutino, Miseria e nobiltà (Teatro Carlo Felice, Genova 2018, nella foto), liberamente tratta dalla commedia napoletana di Eduardo Scarpetta (1887): la scena della abboffata di spaghetti in casa di Felice Sciosciammocca è un must irrinunciabile (nella foto). 

Se una voglia di risotto, per caso, vi dovesse poi cogliere alla sprovvista, assecondatela senza indugio alcuno ascoltando «Di tanti palpiti» dal Tancredi di Gioachino Rossini (Teatro La Fenice, Venezia 1813), altrimenti nota come “aria dei risi”. La vulgata vuole infatti che il Cigno di Pesaro avesse composto questa memorabile cabaletta – per la primadonna Adelaide Malanotte – nel tempo di cottura di un risotto. 

Insomma, la cucina italiana è di certo ricca di sorprese e accontenta ogni palato. Sarebbe un piacere star sempre a mangiare, pantagruelicamente. A tal proposito, non ci si lasci sfuggire il Gargantua di Azio Corghi (Teatro Regio, Torino 1984), opera in due atti per voci, ottetto vocale, coro, orchestra, nastro magnetico e live electronics su libretto di Augusto Frassineti – tratto dalle famigerate opere cinquecentesche di François Rabelais. Naturalmente, come ci insegna la Betly di Gaetano Donizetti (Napoli 1836), «Per fare un buon bivacco / sia Birra, Rum, o Rach, / Kirchenwasse, o Cognac». Bere a strozzacanna non è d’altronde mai stato un problema nell’universo musicale, da Don Magnifico, «Duca e Barone dell’Antichissimo Montefiascone», a Sir John Falstaff. 

Quante feste e cene hanno visto trionfare il vino «nel bicchiere scintillante». Penso al brindisi di Turiddu nella Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni Viva il vino spumeggiante»); ma anche ai brindisi donizettiani della Lucrezia BorgiaIl segreto per esser felici»), de L’elisir d’amore Cantiamo, facciam brindisi») e de Il campanello Mesci, mesci e sperda il vento ogni cura, ogni lamento»); a quelli verdiani de La traviataLibiamo ne’ lieti calici»), del MacbethSi colmi il calice») e dell’OtelloInnaffia l’ugola! Trinca, tracanna!»). Capita di bere «alla barba di chi non ha debiti» (Umberto Giordano, La cena delle beffe) o di inneggiare a una ecumenica fratellanza etilica: «Se il nappo zampilla, / se spuma, se brilla, / e ricchi e pitocchi / esultano allor» (Rossini, La gazza ladra).

Con tutto questo bere e mangiare, c’è da dirlo, spesso si finisce con lo spendere più del previsto, come è capitato in casa di Ferramonte (ne Le donne vendicate di Niccolò Piccinni-Carlo Goldoni): «di polpette / fatte al forno scudi sette; / di garofoli e cannella / scudi venti. Oh questa è bella! / Insalata di cannei / scudi quattro il giorno sei». Ma per una volta non badiamo ai conti della spesa e pensiamo solo a «mangiare e amare, cantare e digerire», come ci insegna Rossini.

È tempo di ultimare il menu! In mancanza di una ricca corbeille de fruits, di questi tempi ci si accontenta pur sempre di Trois Morceaux en form de poire dell’eclettico Erik Satie (1903), possibilmente nell’interpretazione di Aldo Ciccolini. Un buon caffè (miscela J.S. Bach) sarà subito servito in tazza piccola sulle note della cantata «Schweigt stille, plaudert nicht» BWV 211. 

La quarantena finirà (si spera) presto e pian piano si potrà tornare a fare un Breakfast on the morning tram, come nell’omonimo album del 2007 di Stacey Kent, o a ordinare al Cafè Momus un «Cervo arrosto. Un tacchino. Vin del Reno! Vin da tavola! Aragosta senza crosta!», come di consueto fa la brigata di scapestrati artisti ne La bohème di Giacomo Puccini. 

Attilio Cantore

“Dentro le note” con Roberto Prosseda in prima serata Rai5: dall’Aula Magna IUC al piccolo schermo
Giugno “live”? Dal Ravenna Festival un progetto pilota per lo spettacolo dal vivo

Potrebbe interessarti anche

Menu