Questo weekend, il terzo appuntamento con la Piano Chamber Music Weekly Digest si colora di tinte nuove: precisamente quelle dei legni che, a partire da opere quali il già citato Trio mozartiano per clarinetto e viola K498 e poi con quello di Carl Maria von Weber per flauto e violoncello J259 (1818-19), entrano in modo abbastanza stabile nel repertorio di professionisti e dilettanti colti. Spesso la scelta di organici particolari si pone in relazione alle specifiche esigenze della committenza: così era stato per Mozart, e così anche per Weber, che dedica il riuscitissimo Trio J 259 al dr. Jungh, violoncellista dilettante, già dedicatario, nel 1814, di un Andante con variazioni, successivamente elaborato per flauto con il titolo di Schäfers Klage, (“lamento del pastore”), su richiesta di Caspar e Anton Furstenau, padre e figlio, entrambi flautisti virtuosi. Il brano venne infine trasformato nel terzo movimento del presente Trio, raro cimento weberiano con il repertorio cameristico, che qui suggeriamo nell’interpretazione di Vadim Sakharov, Irena Grafenauer e Clemens Hagen (DG 1996).
Prima di immergerci nelle sonorità classiche e romantiche, tuttavia, vorremmo gettare uno sguardo retrospettivo alle Sonate a tre, proponendo all’ascolto alcuni capolavori per cembalo concertato, con accompagnamento di flauto o violino e di violoncello, antenati del Trio propriamente detto, dovuti alla progenie bachiana.
In particolare, i Trii di Johann Christoph Friedrich Bach (il “Bach di Bückeburg”) figurano tra le scarse composizioni del compositore sopravvissute ai bombardamenti del secondo conflitto mondiale e possono rendere ragione non solo della statura di un compositore in passato giudicato “minore” al cospetto dei fratelli, ma anche dello splendore della corte di Bückeburg, ove tra gli altri furono attivi anche Colonna e G.B. Serini. Raccomandiamo in particolare il Trio in re Maggiore: una miscela di movimenti melodici tipicamente bachiani, ma dall’articolazione ritmica e formale già proiettata verso gli stilemi del classicismo tedesco (lo si può ad esempio ascoltare nel disco della Camerata Köln “J.C.F. Bach: Sonatas & Trios”, 2004).
Interessanti da questo punto di vista anche i Trii di Johann Christian Bach (noto anche come “Bach londinese”) proponiamo in particolare la silloge dell’op. II, che per altro facilmente richiamano certi Trii giovanili di Franz Joseph Haydn. Dal catalogo di quest’ultimo, che certo dedicò una produzione cospicua al genere, emergono solo tre lavori scritti per il flauto (Hob. XV: 15, 16 e 17), tutti risalenti con ogni probabilità al 1790. Proponiamo tra gli ascolti il primo dei tre Trii haydniani, in sol maggiore, in una briosa interpretazione con Uwe Grodd al flauto, Christopher Hinterhuber al pianoforte, Martin Rummel al violoncello, (Naxos 2011).
D’altra parte, l’intercambiabilità degli strumenti d’accompagnamento è tutt’altro che insolita nel corso del ’700, onde garantire la massima versatilità e consentire l’esecuzione da parte di diverse compagini. La scrittura, non fortemente virtuosistica ed idiomatica, d’altra parte, preserva per lo più la sua efficacia a fronte delle variazioni timbriche.
Giova per altro ricordare che, anche non solo tra i legni, ma anche tra gli stessi cordofoni, esistono valevoli sostituti del violoncello o del violino: ad esempio in alcuni dei già menzionati Trii di Johann Christoph Bach è la viola da gamba a intervenire, così come nei Trii per fortepiano, viola da gamba e violino op. 30 di Tommaso Giordani (a questo proposito segnaliamo la prima incisione moderna, di recentissima pubblicazione, ad opera del Luchkow-Stadlen-Jarvis Trio).
Spesso però è la viola a concorrere alla formazione del trio con pianoforte: lo strumento, sovente vittima di ironie goliardiche in orchestra, trova invece degna riabilitazione nell’ambito cameristico. Lo dimostrano alcune composizioni tardo-classiche come l’op. 32 di Franz Vinzenz Krommer (1803) che, lasciato da parte il violino, affianca la viola al violoncello, oppure numerosi Trii di Ignaz Lachner (secondo dei tre fratelli compositori), in cui la viola sostituisce il cello. Con il medesimo organico ricordiamo infine il poco noto Trio in do minore MWV Q3, composto da Felix Mendelssohn-Bartholdy all’età di undici anni (1820) e pubblicato postumo solo nel 1970.
Proseguendo nella galleria d’esempi, sebbene la Sonata in fa maggiore op. 65 di Johann Ladislaus Dussek, come quasi tutte quelle finora citate, riporti il titolo di «Sonata per Piano-Forte con l’accompagnamento di flauto e voloncello», l’indicazione non è in questo caso da prendersi alla lettera, e momenti di autentico protagonismo contraddistinguono anche i due strumenti accompagnatori. Si tratta di un lavoro raffinato, melodioso e fresco nella concezione armonica (si vedano ad esempio le originali armonie dello sviluppo e l’apertura del terzo tempo, su una successione di settime che poteva certo suonare inconsueta nel 1808).
Al contrario, se disponete di un violoncellista indolente e fiacco, o addirittura fantasmatico, potreste sempre rivolgervi alle tre Trio Sonate op. 2 di Johann Nepomuk Hummel – che prescrive un perentorio tacet al violoncello nella seconda e nella terza (la formazione torna comunque al completo e in assetto virtuosistico nell’op. 78). Nel caso poi con il violoncello abbiate proprio troncato, potrebbe all’occorrenza giungere in soccorso un fagotto. A un siffatto ensemble, Gaetano Donizetti dedica due movimenti (Larghetto e Allegro): un’immaginaria conversazione a tre, connotata da cantabilità brillante e disinvolta agilità e nella nostra Playlist intrattenuta da Massimo Data (fagotto), Mario Carbotta (flauto) & Piero Barbareschi (pianoforte) nel cd Basoon Trios (Brilliant 2016).
Lo strumento cui l’Ottocento inizia a guardare con interesse sempre crescente è tuttavia il clarinetto. Lo troviamo nel Trio in sib maggiore op. 11 di Ludwig van Beethoven del 1797 in tre movimenti, il cui intenso Adagio centrale lascia presagire ampiezze orchestrali, prima di tuffarsi nelle variazioni sull’aria «Pria che io l’impegno» dall’opera l’Amore Marinaro (ovvero Il Corsaro per amore) di Joseph Weigl, tema suggerito dall’editore Artaria a Beethoven per le variazioni del terzo movimento.
Ci si può calare in atmosfere decisamente più sognanti, invece, con i Märchenerzählungen (letteralmente: “racconti fiabeschi”) op. 132 di Robert Schumann (1853): certo evocativi di un mondo fantastico e denso di ispirazione letteraria, come la precedente op. 113 (per viola e pianoforte), ma a differenza di questa, privi di riferimenti testuali specifici.
Nelle quattro miniature che compongono la suite, Schumann opta per il medesimo insolito organico del “Kegelstatt” Trio K498, affiancando alla viola e pianoforte dell’op. 113 anche la morbida sonorità del clarinetto, per abbozzare sfumature di un mondo romantico che alterna ritmi di marcia decisi e atmosfere sognanti, dolci duetti d’amore tra clarinetto e viola (come nel secondo e ancor più terzo brano, Ruhiges Tempo, mit zartem Ausdruck, ‘tempo tranquillo, con tenera espressione’) e andamenti “a capriccio” (come nel quarto, Lebhaft, sehr markiert, ‘Vivo, molto marcato’): bizzarri moti alla Florestano che sembrano cedere il passo alla fragilità mentale dell’ultimo Schumann.
Per chi «non ha conosciuto l’amore se non per le pene che provoca», il Trio pathétique in re minore di Michail Glinka, che si caratterizza, oltre che per l’enfatica aggettivazione, attraverso questo motto riportato nell’incipit dal compositore, rappresenta certamente la scelta ideale. Il Trio fu scritto nel 1832 durante un soggiorno sul lago di Como, mentre il musicista russo studiava presso il Conservatorio di Milano e venne eseguito in prima assoluta al Teatro alla Scala, con lo stesso Glinka al pianoforte. Evidenti sono i riferimenti alla tradizione belcantistica italiana di Bellini e Donizetti (ad esempio nel “duetto amoroso” tra clarinetto e fagotto nel Trio dello Scherzo), il riferimento a soggetti quasi operistici (il terzo movimento, Largo, è senza dubbio quello più efficacemente “patetico”). Inoltre, la scelta stessa di sostituire il fagotto al violoncello consente di ricercare quell’espressività e liricità peculiari dei due legni, come già era stato in Donizetti.
Scivolando dalle dinamiche dell’amore tormentato alla stasi di quello contemplativo, non si potrebbe che suggerire il Trio in la minore op. 114 di Johannes Brahms (1891). Il magico equilibrio dell’amalgama timbrica che caratterizza il primo movimento diviene vero e proprio intimismo malinconico tra gli strumenti nell’Adagio («è come se facessero all’amore fra loro», scriveva infatti, senza falsi pudori, il critico e compositore Eusebius Mandyczewski). Musica di cui non si può che essere grati: certamente a Brahms, ma anche alla sorte, che nel 1891 fece incontrare il compositore e il celebre virtuoso del clarinetto Richard Mühlfeld, attivo presso la cappella di corte di Meiningen, in Turingia. Dagli entusiastici commenti nelle missive a Clara, si evince come proprio l’occasione abbia stimolato Brahms a riprendere carta da musica e matita per regalare all’umanità alcuni dei suoi ultimi capolavori, dedicati appunto al clarinetto: oltre al Trio op. 114, il Quintetto per clarinetto e archi op. 115 e le due Sonate con pianoforte op. 120.
In attesa del prossimo appuntamento con AmadeusPlaylist #Fase2 Amori a distanza, preludiamo così al sospirato rendez-vous amoroso con due gemme strumentali: una versione per archi e pianoforte del Trio pathétique del 1957, con David Ojstrach, Sviatoslav Knushevitsky e Lev Oborin e l’op. 114 di Brahms nell’incisione di Karl Leister, Georg Donderer e Christoph Eschenbach (DG 1967).
Ci congediamo dal Trio con pianoforte, per passare, nei successivi appuntamenti, a più ampie compagini, proponendo infine gli Otto pezzi per clarinetto, viola e pianoforte op. 83 di Max Bruch scritti nel 1910 per il figlio Max Felix, valente clarinettista. Ancora fortemente intrisi di armonie romantiche, i brani possono essere combinati in libere successioni, creando di volta in volta atmosfere espressive diverse, ma comunque incentrate su tonalità minori e a carattere intimistico. Da ultimo merita certamente un ascolto il Trio in sib maggiore di Vincent d’Indy, del 1888, importante lavoro della maturità del compositore, cui il compositore stesso (pianista professionista e clarinettista e violoncellista dilettante) era affezionatissimo. Li suggeriamo nelle incisioni di Joaquin Valdepeñas, David Hetherington e Patricia Parr per la serie Amici Ensemble (Naxos 2004).
Puoi ascoltare la Amadeus Playlist di questa settimana su Spotify a questo link.
Silvia Del Zoppo