L’emergenza coronavirus ha messo in ginocchio il mondo dello spettacolo dal vivo con effetti a dir poco devastanti sull’attività di tanti artisti, di enti del settore con al seguito le diverse categorie di lavoratori. Se n’è parlato in pieno lockdown e se ne parla anche adesso ma non abbastanza, perché nel nostro Paese si fa ancora un po’ fatica a pensare alla musica, e alla cultura in generale, come fonte di lavoro e bene primario.
Dopo la prima fase carica di angoscia e di speranza, ora l’interrogativo più incalzante riguarda cosa accadrà nel futuro prossimo. Tornerà tutto come prima o per la musica si prospetta una nuova era? Fare previsioni è difficile ma l’argomento merita attenzione, così ne abbiamo parlato con due pianisti musicalmente diversi e al contempo molto affini nel pensiero: Cesare Picco ed Emanuele Arciuli.
Prima di affrontare un confronto di idee sulle auspicabili prospettive per la musica nell’era post Covid-19 il racconto di entrambi ruota intorno alla sensazione emotiva provata nei lunghi giorni di isolamento.
«Oltre a uno straniamento, penso comune a molti, da subito è intervenuto il mio modo di vedere il mondo attraverso il potere del suono», spiega Cesare Picco che proprio alla vigilia dell’emergenza aveva pubblicato l’album Alchemy e aveva dovuto interrompere il tour del suo Blind Date. «Hotrovato questo fenomeno interessantissimo. In una situazione di questo tipo, chi fa musica ha la possibilità di scoprire i suoni più vari, per esempio quello dell’attesa che immagino come una frequenza bassa, normalmente non percepita, ma in casi estremi come questo lo sentiamo costantemente dentro noi stessi. All’inizio del lockdown ho cercato di capire come imparare una nuova metodologia di lavoro da casa, mi sono concentrato su alcuni suoni ed è nato Suspended, un brano che rappresenta l’immagine percepita in quel momento del nostro essere in balia degli eventi e di noi stessi. Ho imparato cose nuove. Ho trascorso giorni in video conferenza a mixare il brano con il mio tecnico e con l’aiuto di collaboratori sparsi in città diverse è nato il video, girato rigorosamente in casa, per raccontare questo momento di sospensione».
Alla sensazione di un tempo sospeso ha fatto da contrappunto la consapevolezza di non essere soli. «Il fatto che questa interruzione accomunasse tutti, in particolare gli artisti», afferma Emanuele Arciuli, «ha reso meno lancinante il disagio condiviso dalla collettività. La mia non è stata una reazione di angoscia, ma di sorpresa e disorientamento. Però sentirsi parte di una situazione generale ha un po’ alleviato lo smarrimento personale, ha relativizzato le nostre preoccupazioni individuali e forse ci ha svelato altre priorità”.
La voglia di stringersi in un grande abbraccio virtuale e sentirsi vicini a distanza ha dato vita a tante iniziative musicali sul web con l’intento di far sentire la propria voce, tuttavia non sempre con i risultati sperati. «A livello musicale», aggiunge Picco, «si è persa una grande occasione. Le continue dirette web, i concerti in streaming hanno rovinato un po’ quel che invece poteva essere l’occasione di riscoprire il suono del silenzio interiore, dell’attesa. La corona in musica è un segno denso di significato; il compositore quando la scrive è come se dicesse aspetta, prendi tempo, respira, ricorda come sei arrivato fin qui e soprattutto cogli l’attimo giusto per ricominciare. A un certo punto ho sentito naturale non frequentare più il web perché il silenzio di cui potevamo godere intorno a noi era devastato dal frastuono di tante altre cose che mi hanno particolarmente infastidito». E Arciuli racconta: «Io non ho fatto musica in streaming, ma ho studiato tanto, ho scritto un libro sulla musica contemporanea, ho fatto progetti e resettato un po’ il mio lavoro personale che forse aveva bisogno proprio di una pausa perché le cose non avvengono mai completamente per caso, almeno per quanto mi riguarda, e questa interruzione è capitata in un momento particolare della mia vita e fermarmi mi ha fatto bene».

Quel che è accaduto nel mondo della musica è sotto gli occhi di tutti. Ora è necessario ripartire. Ma in che modo e con quali progetti? Sia Cesare Picco che Emanuele Arciuli hanno idee molto chiare in proposito e una visione orientata a un radicale cambiamento di rotta. «Il mondo della musica ha alzato la voce usando strumenti come le petizioni», ribadisce Picco, «e va benissimo. Tuttavia, questo è il momento per resettare tutte le distorsioni in corso già da troppi anni nel mondo musicale. Pensare italiano, suonare italiano è l’unica cosa intelligente che si possa fare in questo momento dando spazio nelle programmazioni alle eccellenze musicali del nostro paese. Ma la mia paura è che si stia perdendo quest’occasione perché per tutti il meccanismo più naturale è cercare di tornare come prima. E secondo me l’errore più grande sarebbe proprio questo».
Anche Arciuli condivide questo pensiero e auspica altresì «un processo di liquefazione di un repertorio che un po’ stancamente si continua a perpetuare sempre uguale a sé stesso, ignorando tantissima musica non solo del presente ma anche del passato che andrebbe conosciuta. Se si proponesse un repertorio che si spinge fino all’attualità più stringente potrebbe essere una sorpresa sia per il pubblico che per noi musicisti». E confermando una sinergia di idee sull’argomento, Picco sostiene la necessità di «creare l’opportunità di nuove commissioni musicali, di rivedere in modo ragionevole tutti quei meccanismi legati al mondo dello spettacolo creati in maniera distorta».
In entrambe le conversazioni il tema della cultura e degli aspetti generazionali dei suoi protagonisti è emerso con notevole forza di pensiero di entrambi i musicisti. Secondo Arciuli «in Italia la cultura, e in particolare la musica colta in tutte le sue varie espressioni, non sono di fatto un elemento strutturale. In questo momento difficile sono altre le cose di cui la gente ha sentito la mancanza, quindi, ai problemi che la nostra categoria ha subito si aggiunge la consapevolezza della sostanziale irrilevanza del nostro contributo nella vita del Paese. E questo dispiace molto perché l’arte e la cultura intese come forma di espressione del pensiero sono importantissime tanto più in un Paese come l’Italia che si connota proprio per questa straordinaria ricchezza».
A tal proposito è dunque lecito chiedersi quale potrebbe essere la rotta da seguire in una prospettiva di rinnovamento nel mondo musicale. «I binari sono due», sostiene Picco. «Uno riguarda la politica, che può orientare gli investimenti verso la valorizzazione delle risorse e delle eccellenze italiane; l’altro riguarda il mondo artistico e culturale che dovrebbe aprirsi alle nuove generazioni. Bisognerebbe dare più fiducia ai nostri artisti, ai giovani compositori: liberandoci da pregiudizi e incrostature che da decenni rovinano la parola cultura che noi portiamo come vessillo».
Gabriella Fumarola