AmadeusPlaylist #Fase2 Amori a distanza II. Andante – Dolcemente mosso

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«Voglio l’amore / voglio cantare forte / con tutto il mio corpo / per svegliare le montagne / per inventare una favola». Chi non sarebbe d’accordo con questi versi del poeta Takis Varvitsiotis? Ma per gli amori a distanza, si sa, non è un periodo facile. Dal Piemonte alla Puglia il passo non è breve! E se i confini regionali sono chiusi non si può far altro che spasimare. Bisogna avere ancora un po’ di pazienza: il 3 giugno si avvicina e lascia ben sperare. Dopo la precedente ricognizione sugli amori nel teatro d’opera del Sei e Settecento, questo weekend la #AmadeusPlaylist fa appello ai «tanti palpiti» presenti nei capolavori dei grandi compositori dell’Ottocento e Novecento.

«Oh! quante volte» in queste settimane le nostre lettrici, «in lieta vesta», al pari di Giulietta ne I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini, avranno desiderato essere accanto al loro Romeo. Quante volte avranno salutato l’alba pensando con trasporto al loro amato: proprio come fa Elena, vagheggiando il suo Malcom, nella cavatina «Oh mattutini albori!», all’inizio de La donna del lago di Gioachino Rossini (nell’allestimento del ROF 1981 firmato da Gae Aulenti con la direzione di Maurizio Pollini, Lella Cuberli affrontava il ruolo che nel 1819 fu della divina Isabella Colbran). E, perché no, le nostre più giovani lettrici avranno anche sospirato per uno studente – o un duca sotto mentite spoglie? – al pari di Gilda, nella emozionante cavatina «Caro nome» dal Rigoletto di Giuseppe Verdi (memorabile l’interpretazione di Ileana Cotrubas nel 1979, diretta da Carlo Maria Giulini). Uno studente – questa volta senza trucco e senza inganno – è anche il protagonista del romantico «sogno di Doretta» di cui parla Magda ne La Rondine di Giacomo Puccini.

La distanza è un tormento indicibile: «Lunge da lei per me non v’ha diletto» considera, smaniosamente, l’impulsivo Alfredo Germont in apertura del secondo atto de La traviata. «Senza le tue labbra non ho pace» canta Avito a Fiora, in un bel duetto de L’amore dei tre re di Italo Montemazzi (che proprio in questi giorni sarebbe dovuto andare in scena al Teatro alla Scala, in una nuova produzione firmata da Àlex Ollé de La Fura dels Baus).

Nessuna ragazza potrebbe sinceramente tollerare il cinismo di un bieco ufficiale di Marina qual è Pinkerton, eppure la timida Cio-Cio-San si innamora perdutamente di questo «Yankee vagabondo» cui, da brava «piccina mogliettina», rimane fedele nonostante sia stata abbandonata. Nella commovente aria «Un bel dì vedremo», dopo anni di attesa la geisha è ancora convinta di vederlo un giorno arrivare a Nagasaki su una «bianca nave»: così sarà, ma i risvolti della Madama Butterfly saranno tragici (da brividi l’incisione di Renata Tebaldi con Tullio Serafin sul podio dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma).

Maurizio, il conte di Sassonia, e la celebre attrice Adriana Lecouvreur, «umile ancella del Genio creator», ricordano a tutti che un «sincero amor non soffre divieto, non conosce rossor» (dell’opera di Francesco Cilea scegliere le incisioni di Plácido DomingoRenata Scotto). Rifacendosi a un antico stornello toscano – peraltro già citato nel Decameron di Boccaccio – i giovani innamorati Nannetta e Fenton più volte ripetono «Bocca baciata non perde ventura, anzi rinnova come fa la luna»: quasi a svelare in poche dolci parole l’intero segreto della vita (come dimenticare l’allestimento scaligero del Falstaff diretto da Antonino Votto: una sostituzione al volo di Renata Scotto permise a Mirella Freni di debuttare il ruolo di Nannetta al Piermarini il 9 gennaio 1962, facendo coppia con il tenore Luigi Alva).

Ecco, il nido d’amore è già pronto per il tanto atteso rendez-vous. Non resta che partire. «Non la sospiri la nostra casetta che tutta ascosa nel verde ci aspetta?», chiede Floria al suo bel Cavaliere (si ascolti lo straordinario duetto del primo atto della Tosca nelle incisioni di Brigit NilssonFranco Corelli, Kiri Te KanawaGiacomo Argall e Mirella FreniPlácido Domingo). La primadonna, beniamina dei teatri romani, ha preparato da tempo il nécessaire: gioielli, profumi, spartiti e un ventaglio – anzi, no, quello bisogna evitarlo a priori: potrebbe causare scenate isteriche di gelosia! Tutti in carrozza dopo l’esecuzione di una cantata di Paisiello a Palazzo Farnese, in serata – uno «spettacolo breve», comunque; non dovrebbero esserci intoppi. Il suo adorato pittore Mario Cavaradossi sarebbe pronto a partire da un pezzo, se solo si spicciasse a terminare una Maddalenacommissionatagli dalla basilica di Sant’Andrea della Valle e non perdesse tempo a fare il Repubblicano insieme al suo compare Angelotti. Naturalmente, per salpare da Civitavecchia, (auto)certificazioni al barone Scarpia meglio non chiederne… sarebbe fatale!

Il desiderio di rivedersi si fa sempre più irrefrenabile, ma potrebbe risultare di qualche conforto pensare che «più caro, dopo il tormento, è il bel momento di pace e amor»: come, con sfoggio di funambolici virtuosismi canori, ci insegna la regina babilonese Semiramide in «Bel raggio lusinghier» (eccezionali le performance di Joan Sutherland, Mariella Devia, June Anderson, Angela Meade). Magari sarebbe bello rivedersi proprio a «Villanova ’ncoppa Margellina»… e il pensiero vola subito al duetto d’amore di Amalia ed Errico “Settebellizze” in Napoli milionaria di Nino Rota, su libretto di Eduardo De Filippo (première il 22 giugno 1977al Festival dei Due Mondi di Spoleto con Giovanna Casolla e Piero Visconti). Gli appassionati di egittologia preferirebbero imitare forse il condottiero Radamès quando ritorna dalla sua amata principessa etiope, ridotta in schiavitù: «Pur ti riveggo, mia dolce Aida» (fra le tante incisioni, iniziare con quella di Plácido Domingo e Montserrat Caballé diretti da Riccardo Muti). Altri virerebbero su qualcosa di più sentimentale: come il celebre duetto di George Gershwin «Bess, you is my woman now […] Porgy, I’s yo’ woman now» (non lasciarsi sfuggire l’incisione del 1988 – vincitrice del Gramophone Awards 1989 – con Willard White e Cynthia Haymon diretti da Sir Simon Rattle).

La schiettezza di Giannetto Vingradito, ne La gazza ladra, non può che essere degna di nota: tornato dal fronte, sbandiera ai quattro venti il suo amore per la serva Ninetta («Vieni fra queste braccia» cavallo di battaglia di Rockwell Blake e Juan Diego Flórez). Diciotto anni dopo l’opera di Rossini, per incanto belliniano un altro «Vieni fra queste braccia» entrerà negli annali della lirica: si tratta del duetto de I puritani in cui Arturo Talbo ed Elvira celebrano il loro «immenso amor» (non si rimarrà certo delusi da Juan Diego Flórez e Nino Machaidze al Teatro Comunale di Bologna nel 2009). E che dire della bella Virginia, eroina dell’omonima opera del compositore altamurano Saverio Mercadante (la sua ultima a essere rappresentata, nel 1866), il cui libretto, confezionato da Salvadore Cammarano, si ispira a una delle “tragedie della libertà” di Vittorio Alfieri. La figlia di un umile legionario romano proclama a gran voce e con intensità di accenti il suo amore per un ricco patrizio: la cavatina «Icilio io t’amo» è stata superbamente affrontata da Janet Price (Belfast 1976) e da Simone Kermes – per una recente incisione con il Concerto Köln.

C’è addirittura chi per amore valuta di cambiare religione, come il figlio del tiranno di Antiochia, Oronte, innamorato della prigioniera cristiana Giselda: «La mia letizia infondere vorrei nel suo bel core» da I Lombardi alla prima crociata di Verdi (Luciano Pavarotti al MET di New York, sotto la bacchetta di James Levine).

Non esiste rosa senza spine – è sempre bene tenerlo presente! Fra madrigali, villotte e stornelli, il poeta Zanetto, nell’omonima opera di ambientazione rinascimentale scritta da Pietro Mascagni (spesso in dittico con Cavalleria rusticana), intona una languida serenata alla cortigiana Silvia, con accompagnamento di arpa: «Cuore! V’è il dolore tra il profumo e lo splendore… par che il pianto si nasconda in quel fior, piccina bionda». D’altro canto, costringendo gli innamorati a non vedersi per settimane interminabili, questo lockdown può anche aver facilmente fomentato la gelosia e finanche spinto chissà quanti sull’orlo della pazzia. Ne sa qualcosa la povera Elvira che, nel secondo atto de I puritani di Bellini, vaneggiando canta «Qui la voce sua soave mi chiamava… e poi sparì» (Mirella Freni, come al solito, è un toccasana).

«Tra voi, belle, brune e bionde si nasconde giovinetta vaga e vezzosa, dal labbro rosa che m’aspetta?» si chiede con catessica curiosità il Cavaliere Renato Des Grieux all’inizio della Manon Lescaut di Puccini. Se però qualcuno in questo periodo non dovesse essere riuscito un «lieve affetto ad inspirar» (neppure in chat!), stia pur sereno: vi compatirà facilmente Nemorino, protagonista de L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti, ossessionato dalla avvenente e capricciosa Adina: «Quanto è bella, quanto è cara! Più la vedo, e più mi piace» (Giuseppe Di Stefano e Luciano Pavarotti rimangono due must). Beh, «languir per una bella e star lontan da quella è il più crudel tormento che provar possa un cor»: ne è consapevole il Lindoro de L’Italiana in Algeri (fatevi un regalo e ascoltate le suggestive interpretazioni di Rockwell Blake, Ernesto Palacio, Juan Diego Flórez e Maxim Mironov).

Ma il capricciosissimo «sesso femminino» – è notorio – brama sovente la libertà, giacché «noia arreca, e non diletto il piacere d’ogni dì». Lo conferma con civettuola frivolezza Donna Fiorilla ne Il turco in Italia di Rossini: «Non si dà follia maggiore dell’amare un solo oggetto» (a libera scelta: Mariella Devia e Cecilia Bartoli). Anche ne I gioielli della Madonna di Ermanno Wolf-Ferrari, il capo della camorra napoletana snocciola una sua personalissima filosofia amorosa nella serenata del secondo atto, «Aprila, bella, la finestrella»: per Don Rafaele, infatti, «non sopporta cancelli amor» (Tito Gobbi docet). L’amore clandestino fra Amelia, moglie del creolo Renato, e il conte di Warwick, Riccardo, trova la sua apoteosi nel meraviglioso e travolgente duetto «Teco io sto», dal secondo atto di Un ballo in maschera: immensi Franco Corelli e Regine Crespin (1964), come Luciano Pavarotti e Katia Ricciarelli (1980). Ancora a Verdi si deve lo squisito concertato «T’amo d’amor ch’esprimere mal tenterebbe il detto!», in cui Luisa Miller e Rodolfo inneggiano al loro ardente affetto, più forte della morte (Montserrat CaballéRichard Tucker).

Medesimi sentimenti animano il poeta Andrea Chénier e la sua amata contessina (senza più contea) Maddalena di Coigny, appena rincontratisi – con tutto un corollario di Incroyables e di Merveilleuses – fra i tumulti del Regime del Terrore. Un saggio formidabile del duetto «Ora soave, sublime ora d’amore» ne danno Franco Corelli e Renata Tebaldi (1960), ma anche Luciano Pavarotti e Montserrat Caballé (1984). È interessante ricordare che alla premièrescaligera del capolavoro di Umberto Giordano (28 marzo 1896) assistette Olga Spatz, figlia del proprietario del rinomato Grand Hotel et de Milan, la quale da un palco del primo ordine applaudì come semplice spettatrice il giovane musicista pugliese che, qualche mese più tardi, sarebbe diventato suo marito. Sotto gli auspici del melodramma, dunque, l’amore trionfa… anche per i compositori! Questo confermerebbe ciò che Virgilio Brocchi scrisse nel suo romanzo La fontana dell’amore e dell’oblio (Mondadori 1939): «Un musicista che non abbia scritto un capolavoro, o non abbia avuto un amore bello come un capolavoro, è vissuto invano».

Attilio Cantore

In foto: Antonio Ambrogio Alciati (1878-1929), Il convegno, 1918, Museo del Paesaggio di Verbania

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