Amadeusplaylist #Fase2 Amori a distanza: I. Grave – Allegro

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«Voi che sapete cos’è amor, donne, vedete s’io l’ho nel cor», canta il paggio Cherubino ne Le Nozze di Figaro; ma le cose non sono sempre così facili come si crederebbe. Cosa comporta, ad esempio, essere innamorati a distanza al tempo del lockdown? Ogni singola (video)chiamata mancata si muta in un tormento mentre i giorni, consunti dall’apatia, trascorrono inconcludenti senza sapere quando potersi riabbracciare. Questa settimana, perciò, dedichiamo l’ormai consueto round-up of listening del weekend a tutti coloro che, almeno una volta nella vita, si sono innamorati di qualcuno. Perché, in fin dei conti, «All’imperio d’amore chi non cederà»?

Lontano dalla persona amata ci si sente incompleti; tutto appare privo di senso. «Che farò senza Euridice?», il lamento del cantore tracio Orfeo che ha perduto la sua sposa, scritto da Ranieri de’ Calzabigi e messo in musica da Gluck, diviene allora facilmente il leitmotive di questo periodo surreale. 

C’è chi, come l’imperatore Anastasio nel Giustino di Vivaldi, non vorrebbe neppure immaginare di trovarsi «dal caro oggetto lungi»: lo ammette nella bellissima aria «Vedrò con mio diletto» (di recente interpretata anche da Raffaele Pe, con I Barocchisti di Diego Fasolis). Non parliamo poi della Nina di Paisiello: sì, proprio la pazza per amore che – come molti di noi negli ultimi tempi – si chiede con impazienza «Il mio ben quando verrà?». La historical recording di Teresa Berganza è un vero toccasana, come la versione scaligera con Anna Caterina Antonacci diretta da Riccardo Muti (1999) o quella con Cecilia Bartoli diretta da Adám Fischer (Zürich 2002). 

C’è chi è pazzo per amore e chi pensa che l’unica vera pazzia sia il morire per amore, soprattutto per una «bella donna vezzosa»: roba da «rompersi il collo»! Non lasciatevi sfuggire, a tal proposito, la gustosa ciaccona di Benedetto Ferrari, «Amanti, io vi so dire», nella formidabile incisione di Carlo Vistoli (Amor tiranno, Arcana 2020). 

Non bisogna perdere tempo: «Amanti, godete» (ascoltiamo ne Gli strali d’Amore di André Campra), perché la giovinezza è fugace. Quando si è in tempo, è il caso di arrangiarsi ghermendo qualcuno nella rete della seduzione: date retta ai salaci ammonimenti della saggia Porzia (vecchia en travesti agitata da inverecondi pruriti) ne Lo finto laccheo di Giuseppe De Majo, restituiti con impareggiabile vis comica da Pino De Vittorio in «Quanno lo pesce è bivo, sia sarda, ò sia retunno sempre se fa magnà». 

Il pastore Aci, presagendo l’imminente arrivo della sua bella Galatea, sente «mille gioie intorno all’alma» e a noi balza il cuore ascoltando la pirotecnica aria «Nell’attendere il mio bene», tratta dal Polifemo di Niccolò Porpora: una delle tante gemme barocche nello scrigno di Franco Fagioli. L’amore, è vero, “imprigiona” i cuori. Ce lo ricordano Antonio Rodríguez de Hita in «Amor sólo tu encanto» (La Briseida) e Alessandro Scarlatti in «Più non m’alletta» (Il Giardino d’Amore), aria di Adone con imitativo cinguettio di flauto piccolo; mentre la Proserpina paisielliana, in «Belles fleurs, charmant ombrage», riflette sugli infelici destini di un cuore «trop sensible».

Non è escluso che, durante la quarantena, sulle chat nascano fugaci infatuazioni. Se vi fosse capitato di individuare qualche provocante profilo, senza però essere contraccambiati, sarebbe il caso che dedicaste al Carneade di turno l’aria di Händel «Impara, ingrata, impara», in cui dopo l’ennesimo due di picche Polifemo inveisce, furente, contro Galatea. Per carità, non state a piangervi addosso con frasi del tipo «Serbo in seno il cor piagato», esattamente come fa (seppur nella finzione metateatrale dell’intermezzo La Semiramide in villa) la paisielliana Madama Tenerina. Neppure seguite l’esempio del principe greco Andronico che, nell’händeliano Tamerlano, snocciola la sua cocciuta filosofia amorosa: «Benché mi sprezzi l’idol che adoro mai non potrei cangiare amore». D’altro canto, «Se bramate d’amar chi vi sdegna» (Serse) non fareste altro che vivere «tra doglia infinita, tra speme tradita», come nel madrigale di Monteverdi «Sì dolce ’l tormento». 

Tante volte a farsi i fatti proprî se ne guadagnerebbe in salute. Lo può testimoniare il protagonista della spassosissima cantata di Alessandro Scarlatti «Ammore brutto figlio de pottana» che, sbottando de cereviello per amore di Zeza, s’è «storduto» a tal punto da assomigliare a uno spaventevole «paputo speccecato» (Pino De Vittorio docet).

Certo, se «Dal suo gentil sembiante» nacque il vostro primo amore (come canta Demetrio nell’omonima opera di Leonardo Leo), è vieppiù lecito che l’attuale lontananza, fisica e spirituale, induca a domandarvi «Dove sono i bei momenti di dolcezza e di piacer?», come è accaduto alla Contessa de Le Nozze di Figaro di Mozart. In tal caso optate per i dischi con Elisabeth Schwarzkopf, Leyla Gencer o Mirella Freni. 

A chilometri di distanza, d’altronde, s’inaugura il tempo dei (vani) sospiri. Clementina, nell’omonima zarzuela di Boccherini, ne compatisce l’inevitabile sopraggiungere in «Almas que amor sujetó», vivacemente riproposta da Maria Bayo con Les Talens Lyriques di Christophe Rousset. I sospiri, tutti ne sono convinti, hanno il potere di suggerire la giusta traiettoria al capriccioso Cupido per colpire il cuore della persona amata: quale incanto le strofe di Rinuccini intonate da Giulio Caccini, «Tu ch’hai le penne, Amore». Ancor più struggenti sono, poi, i toni di «Se mai senti spirarti sul volto», l’estremo canto d’amore che Sesto rivolge a Vitellia: fra le numerose intonazioni di questi versi metastasiani tratti da La clemenza di Tito, scegliete quella di Gluck nell’interpretazione da brividi di Cecilia Bartoli. 

Professioni di amore e fedeltà ce ne sono a profusione. Basti pensare all’aria di Rosane «Solo quella guancia bella» (La Verità in cimento di Vivaldi) o alla più famosa «Cara sposa, amato bene» (Radamisto di Händel). Una parentesi a parte merita, crediamo, quel gioiello che è «Sol da te, mio dolce amore», cantata da Ruggiero nell’Orlando furioso di Vivaldi, in cui la splendida parte concertante del traversiere gareggia virtuosisticamente con la voce del controtenore. Ci pensa invece Haydn a delineare uno fra i più bei duetti d’amore della storia della musica ne L’anima del filosofo, in cui Orfeo ed Euridice dichiarano che le loro anime sono unite esattamente «Come il foco allo splendore» (edizione di riferimento quella con Uwe Heilmann e Cecilia Bartoli diretti da Christopher Hogwood). 

Naturalmente, quando si parla di costanza amorosa viene spontaneo parlare del rondò di Aminta con violino concertante «L’amerò, sarò costante», da Il re pastore di Mozart (Kathleen Battle diretta da André Previn è pura dolcezza); ma anche dell’aria per soprano e pianoforte concertante «Non temer, amato bene» K. 505, composta per le doti canore di Nancy Storace, la prima Susanna ne Le Nozze di Figaro (orientarsi verso le incisioni di Kiri Te Kanawa e Mitsuko Uchida dirette da Jeffrey Tate o di Christine Schäfer e Maria João Pires dirette da Claudio Abbado). 

Il risvolto della medaglia, come si intuisce, è la sventurata fedeltà: ne La costanza non gradita nel doppio amore d’Aminta, sulle note di Giovanni Bononcini il protagonista lamenta la «Infelice mia costanza» (emozionante la performance di Jakub Józef Orliński). Alle volte si insinua fra i pensieri anche la sospetta infedeltà; e subito il pensiero vola a «Voi avete un cor fedele» K. 217: qui Mozart mostra l’ambivalente carattere di una donna innamorata che, presagendo un possibile tradimento del futuro sposo, «non ancora, non per ora» si vuol di lui fidar. 

Ma adesso è tempo di pensare solo a cose liete: all’istante tanto atteso in cui finalmente rincontreremo il nostro amore e, insieme, potremo cantare con trasporto «T’abbraccio, mia Diva… Ti stringo, mio Nume» (Niobe regina di Tebe di Agostino Steffani) o, come nel celebre commovente finale de L’incoronazione di Poppea di Monteverdi, «Pur ti miro, pur ti godo».

Attilio Cantore

Nella foto: Jean-Honoré Fragonard, Les Progrès de l’amour: Le rendez-vous, 1773, Frick Collection, New York

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