Amadeus di Miloš Forman: il nostro omaggio a un grande regista

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“Amadeus” di Miloš Forman è un capolavoro, ma chiudere qui il discorso sarebbe limitativo. Più che un film biografico e un kolossal storico, è un affresco sul processo creativo del genio di Wolfgang Amadeus Mozart, filtrato dallo sguardo del rivale, Antonio Salieri. Non è tanto l’accuratezza filologica a tenere in piedi l’intero impianto filmico, quanto piuttosto la leggenda nata su questa rivalità: a ciò si ispira lo sceneggiatore, Peter Shaffer, per un lavoro teatrale e, successivamente, per il cinema.

Per girare questo film, Forman torna nell’allora Cecoslovacchia dopo oltre un decennio: in seguito alla Primavera di Praga, il regista abbandona infatti il suo paese d’origine, alla volta degli Stati Uniti. E il ritorno è decisamente in grande stile.

Come si accennava, la precisione storica non è il punto focale della trama, ma non per questo chiunque, che si trovi dietro la macchina da presa o tra gli spettatori, viene esentato dal calarsi nell’universo di Mozart in ogni dettaglio. Ad esempio, Tom Hulce, che interpreta il compositore austriaco, prende intense e quotidiane ripetizioni di pianoforte, mentre costumi e scenografie sono ricostruiti in modo meticoloso.

La colonna sonora è affidata a Sir Neville Marriner, che dirige l’Academy of St. Martin-in-the-Fields su partiture di Mozart e Salieri. Già i titoli di testa scorrono accompagnati dal primo movimento “Allegro con brio” della “Sinfonia n. 25 in Sol minore (K 183)” e la macchina da presa si immerge immediatamente nella sonosfera mozartiana. Inizia così la narrazione, alternandosi tra la confessione di Salieri, vero e proprio narratore onnisciente, e le vicende della vita di Mozart.

Si approda in questo modo a uno dei momenti più coinvolgenti dell’intero film, quando proprio Salieri descrive la musica del rivale, in un discorso intriso di pathos, in bilico tra recensione e poesia, come la voce di Dio stesso: le note in questione sono quelle della “Serenata n.10 in Si bemolle maggiore (K 361)”, meglio nota come “Gran Partita”, una delle più sontuose e complesse partiture scritte dal compositore.

Immaginifico e storia si intersecano poi nel momento della creazione de “Il ratto del serraglio”, in scena nel 1782. Con quest’opera, Mozart prende le distanze sia dall’opera italiana sia dal dramma letterario di Gluck, con un singspiel in tre atti che, tra musica e recitativi accompagnati, sboccia nella prima opera tedesca, per linguaggio e spirito. E se lo stesso Goethe afferma che questo lavoro ha fatto epoca, Mozart la concepisce con uno scopo ancora più assoluto: la supremazia della musica sulla parola, la vittoria del linguaggio ultraterreno su quello umano. La scena del debutto è girata al Teatro degli Stati di Praga, proprio dove avvengono realmente due prime mozartiane: il “Don Giovanni”, descritta nel film come opera allo stesso tempo terrificante e sublime, e “La clemenza di Tito”.

Infine, le ultime scene che vedono Mozart in vita scivolano, e non potrebbe essere altrimenti, sull’immortale e monolitica “Messa di Requiem in Re minore (K 626)”, l’ultima e incompiuta composizione di Mozart. Dal canto suo, Salieri si congeda invece verso i titoli di coda con il secondo movimento del “Concerto per pianoforte e orchestra n. 20 (K 466)”. Da notare come entrambe le opere siano in Re minore, quella che viene definita, non a caso, la “tonalità dell’anima” di Mozart, in grado di far vibrare i sentimenti più intimi e reconditi dell’animo umano.

La pellicola esce nelle sale nel 1984, conquista decine di premi, nel corso degli anni è citata, in modo più o meno esplicito, in altri film, serie televisive e cartoni animati. In poche parole, Miloš Forman trasforma il genio in capolavoro e la musica è parte intensa e vibrante di ogni scena.

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