Alain Platel, l'artista della danza bastarda

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Il coreografo Alain Platel torna in Italia. Il suo nuovo spettacolo Requiem pour L. offre lo spunto per riflettere sulla sua “danse batârde”

Alain Platel

Il ritorno in Italia di Alain Platel è occasione per riflettere su quanto possa essere propedeutico il ruolo della danza contemporanea nella vita delle comunità. Requiem pour L. ad esempio (atteso a Torinodanza il 30 novembre e 1 dicembre, dopo il debutto italiano al Festival Aperto di Reggio Emilia), a firma congiunta del metteur en scène fiammingo e dal sodale compositore Fabrizio Cassol, è una performance musicale che riscrive la partitura di Mozart per un gruppo di musicisti congolesi.

Platel rivendica di aver solo aiutato la disposizione coreografica del concerto «cogliendo quelle referenze fisiche e di movimento, mutuate principalmente dai rituali funebri africani, che gli interpreti avevano voglia di condividere».

Alain Platel, il “non” coreografo

D’altra parte l’artista fiammingo rifiuta fermamente la qualifica di coreografo. Dice che «non è questa la mia formazione, non sarei capace di comporre danza».

Ma se consideriamo coreografia il ritmo interiore di una qualsiasi performance, Platel è un “maestro”,. Altra definizione che lui rifiuta schermendosi; benché dalla metà degli anni Ottanta, a Gand dove vive, lo considerino tale schiere di amateurs e artisti (il coreografo Sidi Larbi Cherkaoui il più noto) passati dal suo collettivo: les ballets C de la B.

Crocevia di un’umanità varia e meticcia, folle e sguaiata; la protagonista di quella “danse batârde” popolare, anarchica, impegnata, che è diventata la cifra di Platel.

La danza che appartiene a tutti

«Questa danza si inscrive nel mondo e il mondo appartiere a tutti» dicono in compagnia. Adolescenti problematici, immigrati africani, anziani cabarettisti trans, sono di volta in volta protagonisti dei suoi spettacoli. L’autore non ci vede nulla di strano.

«È semplicemente la gente che esiste, ovunque in Europa e anche qui a Gand. Ho sempre accolto nel mio studio le persone con cui mi interessa lavorare, di volta in volta per pièces di danza, teatrali, musicali, per grandi ensemble o pochi interpreti. Nel caso specifico la danza nasce da lunghe sessioni di improvvisazione; chiedo ai miei danzatori di creare i movimenti che vogliono intorno ai temi sui quali stiamo riflettendo. È più facile chiedere di improvvisare il movimento piuttosto che la musica o la recitazione. Dal materiale raccolto si crea a poco a poco uno spettacolo».

Movimenti dell’inconscio

Un metodo maieutico, simile a quello di Pina Bausch, alla quale Platel ha dedicato Out of context. For Pina. Nel caso dell’artista fiammingo suffragato dalla sua precedente professione di ortopedagogo, che ha lavorato con bambini affetti da handicaps motori e cerebrali.

Da quell’esperienza sono nati diversi spettacoli, basati sulla ricerca di un linguaggio di movimento incontrollato perché legato all’inconscio: tic fisici e verbali, scientificamente classificati come “sindrome di Gilles de la Tourette”, estrosamente trasformati in partitura coreografica, come in La Tristeza complice.

Oggi Alain Platel ci rivela come si stia immaginando il futuro di quella piattaforma sempre più aperta alla comunità cittadina che è il suo collettivo, per conservare e trasmettere alle nuove generazioni quel patrimonio artistico e di vita messo insieme nel corso di tanti anni. Lui continuerà ad esserci perché, chiosa: «La mia attività è una maniera di vivere, che mi aiuta a stare meglio».

di Valentina Bonelli

danza@belviveremedia.com

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