Cavalleria rusticana e Pagliacci sono le opere scelte da Riccardo Muti per l’edizione 2020 della sua Italian Opera Academy, fondata nel 2015, che da sei anni forma attraverso un percorso di scoperta a Ravenna giovani direttori, maestri collaboratori e accompagna il pubblico dritto al cuore dell’opera prescelta. L’appuntamento è dal 18 al 31 luglio al Teatro Alighieri, gioiello ottocentesco che riapre dopo il lungo silenzio imposto dall’emergenza sanitaria.
“Italianità” dunque, ma senza retorica; distillata, invece, da quel patrimonio unico al mondo che è parte integrante della nostra storia e quindi della nostra identità, ovvero il melodramma.
Una lezione musicale ma anche culturale ed etica.
Si comincia con la presentazione delle opere al piano di sabato 18, poi dal 19 al 27 le prove con orchestra e cantanti, e due concerti finali il 29 e 31 luglio, diretti rispettivamente da Muti stesso e dai suoi allievi scelti dopo una accurata selezione internazionale. Sul palcoscenico dell’Alighieri e al centro del progetto dell’Accademia l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, creata da Muti nel 2004 e composta da musicisti under 30 provenienti da tutta la penisola.
Cavalleria rusticana e Pagliacci saranno l’oggetto di due settimane di studio intenso e meticoloso per restituire a tutti il tesoro di partiture che «si rivelano straordinarie se affrancate da effetti ed effettacci», afferma Muti, sottolineando: «la mia è una crociata contro le indebite consuetudini e i fraintendimenti con cui il melodramma italiano è spesso presentato sui palcoscenici di tutto il mondo. Ma in queste opere non c’è una sola battuta di cui si possa fare a meno».
E sulla scelta di Cavalleria rusticana: «Ci vuole una cura attenta alla dinamica, alla timbrica, al fraseggio che non deve essere da trivio, mantenendo una nobiltà che esiste anche in una società rurale. Quando si canta ‘O che bel mestiere, fare il carrettiere’, ripenso ai carri dei contadini che di notte passavano sotto le mie finestre a Molfetta per andare in campagna. Io vengo da lì, sento un’aderenza a questi temi, una familiarità che riflette la cultura in cui sono cresciuto».
E anche la musica di Pagliacci «vive di italianità: per passionalità, violenza di emozioni», che rischiano di diventare caricaturali soltanto nelle mani di interpreti impreparati e noncuranti, perché «nelle opere del verismo la retorica dev’essere alata, non compiaciuta. Quella del verismo è una musica che batte la grancassa, è un pugno nello stomaco. La violenza c’è, come la delicatezza: non l’assecondo e non la trascuro, va sublimata e controllata, ma non raffreddata».
Info: riccardomutiacademy.com e teatroalighieri.org