Centosessant’anni fa il Teatro Colón (quello “antiguo” situato in un altro palazzo di Buenos Aires) apriva per la prima volta il proprio sipario con le note iniziali della Traviata di Verdi, opera che aveva debuttato soltanto quattro anni prima alla Fenice di Venezia.
In onore di questo anniversario, la terza opera della trilogia popolare verdiana torna alla città argentina con la produzione dell’Opera di Roma e la regia di Franco Zeffirelli. Dal 12 al 20 settembre si alternano sul palco le soprano Ermonela Jaho e Jaquelina Livieri (Violetta), Saimir Pirgu e Dario Schmunck (Alfredo) e Fabián Veloz e Leonardo López Linares (Giorgio Germont). Alla guida dell’orchestra stabile del Teatro l’italiano Evelino Pidò; a quella del coro Miguel Martínez.
Inizialmente la regia doveva essere di Sofia Coppola con costumi di Valentino, combinazione che aveva creato molte aspettative nel pubblico porteño, colto poi di sorpresa dalla decisione del direttore artistico E. A. Diemecke di riportare sul palco le vecchie scene di Zeffirelli. Il nome che firma capolavori come Romeo e Giulietta, Fratello sole, sorella luna e numerose opere (tra cui anche una Traviata per il grande schermo del 1983) propone quindi al pubblico argentino, ripresa da Stefano Trespidi, una visione cinematografica dell’opera.
«Il fatto che Violetta appaia nel preludio orchestrale così come nel terzo atto, sul letto morente preannunciando il finale, è sicuramente un elemento cinematografico», racconta il baritono-Germont Fabían Veloz. «Anche la grande struttura del secondo atto, verso la fine del concertato dove siamo tutti sul palco richiama una fotografia d’impatto a livelli del film».
Le scenografie ampie, semplici e curate fino al minimo dettaglio lasciano sicuramente spazio all’evolversi dell’azione sulla scena, senza però aggiungere o contribuire in modo significativo ad essa. Le pareti specchiate alla fine del secondo atto ricordano l’effetto che ebbe la prima sul pubblico veneziano: «Ovviamente il messaggio dell’opera vuole essere una critica alla società, che in quel momento si vedeva riflessa puramente nel pubblico della prima», continua il baritono argentino. «Una volta un regista mi disse: ‹Tu devi essere una persona molto buona, perché facendo il cattivo sei molto bravo. I cattivi non vogliono recitare ruoli da cattivi, per paura di vedercisi riflessi. Secondo me l’idea della Traviata è proprio il fatto di rispecchiare la società e la sua ipocrisia. Appunto per questo all’epoca fu uno scandalo e venne censurata perché scomoda».
Indipendentemente dall’attualità dell’argomento e della messa in scena, quello che continua ad arrivare al pubblico sono i sentimenti che turbano i personaggi e riescono a commuoverlo attraverso gli interpreti e la musica.
Fabían Veloz, che l’anno prossimo sarà in Italia con Tosca e La Traviata, risulta uno dei più applauditi alla prima del Colón. La sera del 14 invece va in salita per tutto il cast: l’argentina Jaquelina Livieri, all’inizio un po’ meccanica nei movimenti, sorprende per le sue doti recitative e canore interpretando Violetta in fin di vita; Darío Schmunck raggiunge una voce presente e ben timbrata verso il secondo atto, mentre il Germont di Linares convince dalla sua prima apparizione. L’orchestra diretta da Evelino Pidò segue e completa le parti solistiche e il coro senza esitazioni, concedendo spazi e riprendendo quando necessario.
Centosessant’anni dopo la sua inaugurazione, il Teatro Colón propone una Traviata che potrebbe essere più innovativa in termini di regia e scene, ma che nonostante ciò rimane un capolavoro degno di un’inaugurazione e del suo anniversario.