Accademia di Santa Cecilia: la stagione da camera parte con la maratona Beethoven di Saleem Ashkar

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Inaugurazione, l’11 ottobre, della stagione cameristica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel segno di Beethoven. Sarà infatti una maratona, o meglio, una corsa solitaria in tre tappe del pianista israeliano-palestinese Saalem Ashkar ad aprire il cartellone, attraverso il vasto e multiforme corpus delle Sonate per pianoforte beethoveniane, integralmente esplorato da Ashkar nelle incisioni per DECCA recentemente pubblicate.

Debutto alla Carnegie Hall sotto la direzione di Zubin Metha, collaborazioni con alcune delle più prestigiose orchestre (Orchestre de la Suisse Romande, Konzerthausorchester Berlin e St. Louis, Orchestra Vancouver e Tokyo Metropolitan Symphony Orchestra) e con personalità come David Afkham, Daniel Barenboim, Riccardo Chailly solo per citarne alcuni, Ashkem affianca all’intensa  carriera concertistica e ai progetti discografici (oltre alle Sonate di Beethoven, anche l’integrale dei Concerti con la NDR Elbphilharmonie diretta da Ivor Bolton e i Concerti per pianoforte di Mendelssohn con l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia diretta da Riccardo Chailly) anche l’impegno di direttore artistico della Galilee Chamber Orchestra – costituita da studenti e professionisti – che, sul modello della West-Eastern Divan Orchestra di Barenboim, incoraggia la collaborazione artistica tra la comunità ebraica e quella palestinese in Israele, ed è promotore di progetti didattici, come la Al-Farabi Music Academy a Berlino che garantisce educazione musicale a giovani meno fortunati.

Tre gli appuntamenti della giornata: si parte alle 12 con la Sonata op.2 n.3. Ultima Sonata della prima silloge pubblicata da un Beethoven appena venticinquenne, è dedicata, per ossequio o per consuetudine, al maestro Haydn e rappresenta un autentico compendio dell’idioma pianistico elaborato negli anni di apprendistato, sebbene il modello che compare in trasparenza si avvicini più all’atletismo clementino che ai cliché viennesi. Fin dal motto incipitario (il trillo in doppie terze che nella celeberrima interpretazione di Michelangeli metteva i brividi già dalle prime note), la Sonata si scopre virtuosistico cimento per pianisti impavidi (con uno sfavillante Do maggiore che, pur nella diversità di carattere, sembra tecnicamente preludere alla Waldstein), ma anche sfida per un compositore audace, cui gli impianti tradizionali iniziano ad andar stretti già al suo terzo confronto pianistico con la Sonata (si vedano ad es. i tre temi nell’esposizione, le estese cadenze del primo e quarto movimento e l’Adagio nella tonalità di mi maggiore). Il programma prosegue con la settima Sonata, n.3 op.10. Pubblicata nel 1798 e anch’essa in quattro movimenti, presenta uno livello di sperimentazione non secondo alla precedente e persegue quella tendenza all’essenzialità motivica che diventerà la cifra dell’elaborazione tematica beethoveniana. Anche se la reale sorpresa è la malinconia di cui il secondo movimento è pervaso, la cui intensità è raggiunta forse in pochi altri momenti della produzione pianistica.

Il percorso prosegue con il secondo concerto, alle 17, e con due Sonate che non richiedono presentazioni: l’op. 27 n.2 e l’op.57, entrambe recanti titoli spuririspettivamente “Al chiaro di luna” e “Appassionata”. Il primo venne attribuito postumo dal compositore tedesco Rellstab negli anni ’30 dell’Ottocento, in sintonia con l’operazione di rilettura delle pagine beethoveniane entro le coordinate estetiche romantiche: la denominazione pare riferirsi ad un paesaggio lacustre sotto i riflessi lunari, quello del Vierwaldstättersee (o comunemente Lago di Lucerna).

Anche l’epiteto di “Appassionata” fu probabilmente aggiunto da un editore alla rielaborazione per quattro mani della Sonata op.57, richiestissima sul mercato da dilettanti colti, tale fu la popolarità raggiunta da quello che Beethoven riteneva il suo capolavoro per pianoforte, almeno fino alla stesura dell’Hammerklavier. D’altra parte, con questa sonata la sensazione di trovarsi nella fucina di Efesto è evidente fin dal primo movimento, che raggiunge letteralmente i limiti concessi dallo strumento (anche in senso fisico, toccando il Fa1, la nota più grave disponibile sulla tastiera degli strumenti dell’epoca).

Alle 20.30, infine, il concerto di inaugurazione vero e proprio, con la Sonata op. 81a “Les Adiuex”, dedicata all’arciduca Rodolfo d’Austria, partito da Vienna durante l’occupazione della città da parte delle truppe napoleoniche, e alcune delle Sonate del cosiddetto “ultimo periodo”. Se l’op. 90 in mi maggiore presenta due soli movimenti, l’op. 101 e 110, rispettivamente in La e Lab maggiore, ritornano ad impianti più estesi e “trasfigurati”. Empfindung, Sensucht, cantabilità, espressione sono le parole chiave di questo universo estetico, in cui Beethoven si spinge a imitare onomatopeicamente la voce umana, come avviene nel Recitativo arioso che precede la Fuga conclusiva, quasi «[avvertendo] istintivamente la necessità di ricorrere alla parola per accrescere ancora l’eloquenza di un phatos giunto ai limiti estremi delle sue possibilità» (Casella).

Info: santacecilia.it

 

Silvia Del Zoppo

 

 

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