A colloquio con Giovanna Casolla: per tutti Turandot

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Una forza della natura, un autentico “animale da palcoscenico”: tali sono le definizioni che vengono in mente pensando a Giovanna Casolla. Classe 1945, ma con l’energia di «una trentasettenne», come lei stessa ama definirsi invertendo le cifre che compongono il numero dei suoi anni, il celebre soprano “falcon”, invitata dal dipartimento di Canto lirico del Conservatorio “Stanislao Giacomantonio” di Cosenza per una masterclass di tre giorni (dal 14 al 16 giugno 2018), ha intrattenuto, con la sua verve tutta partenopea, gli ammiratori accorsi al ridotto del Teatro Rendano, ma anche dei docenti e degli allievi, partecipanti ai corsi o semplici uditori.

Ha così “snocciolato” aneddoti spassosi riguardanti la sua vita artistica e personale: dal debutto, nel 1977, al festival dei Due Mondi di Spoleto in Napoli Milionaria, l’opera di Nino Rota sul libretto (tratto dall’omonimo dramma) e con la regia del grande Eduardo de Filippo, fino alla chiamata “in extremis”, nel maggio 2017, per interpretare la principessa di Eboli nel Don Carlo andato in scena all’Opera di Firenze, mentre «presiedeva la quinta edizione del Concorso Lirico Internazionale “Jole de Maria” a Tivoli» (11-13 maggio 2017); tutto ciò passando per l’esilarante racconto del presunto avvelenamento da funghi che funestò il suo debutto tedesco (a Monaco di Baviera) in Cavalleria rusticana,  o della volta in cui uno spettatore che, nel complimentarsi dopo uno spettacolo, le aveva stretto calorosamente la mano, affermando: «è stato uno spettacolo meraviglioso; è davvero un onore incontrarla Signora Kabaivanska».

Accanto all’autoironia e alla travolgente simpatia, Giovanna Casolla ha rivelato anche la sensibilità e la forza interiore, che la contraddistinguono anche sul palco, nel toccante ricordo della morte improvvisa di sua madre, avvenuta nel 1982, mentre era impegnata nell’edizione torinese del Tabarro: «in quell’occasione pensai di non farcela a sostenere la recita; mi concentrai sul personaggio e mi convinsi che sul palcoscenico ero Giorgetta; inoltre chiesi ai colleghi di essere lasciata sola. Non volevo sentire le solite parole di circostanza; ebbi però la possibilità di percepire la loro vicinanza affettuosa sul palco, e anche ciò mi dette molta forza».

Durante i corsi, Giovanna Casolla ha ascoltato attentamente gli allievi senza risparmiare critiche lucide e severe, ma elargendo anche preziosi consigli di tecnica vocale e interpretativi; ha inoltre condiviso con generosità le proprie esperienze di vita artistica. «È importante darsi un tempo per affrontare la carriera artistica» ha infatti suggerito, ricordando che il periodo in cui riprese gli studi di canto: «era il 1975, e all’epoca ero già sposata e madre di tre figli e cantavo nel Coro del Teatro San Carlo, dove ero entrata giovanissima. Sia io che mio marito vivevamo del nostro stipendio, e malgrado i suggerimenti dei colleghi coristi che apprezzavano la mia voce e mi consigliavano di fare il “grande salto” ero restia a lasciare il certo per l’incerto. Ebbi la fortuna di incontrare il M° Walter Ferrari a cui chiesi se potesse seguirmi anche se non avevo molto tempo a disposizione, né denaro per le lezioni. Egli credette in me e mi permise così di ripagarlo dopo il debutto, avvenuto nel 1977 a Spoleto».

Dopo l’Amalia di Eduardo, fu poi la volta di innumerevoli eroine, dalla Wally di Catalani all’Adriana Lecouvreur, dalla Maddalena di Coigny dell’Andrea Chénier aella Fedora di Giordano, dalla Gioconda di Ponchielli alle pucciniane Tosca (nel cui ruolo ha all’attivo più di cinquecentosessanta recite), Minnie e Giorgetta, dalla Magda respighiana della Campana sommersa alle verdiane Leonora di Vargas e Principessa di Eboli, dalla Giulietta di Zandonai ai ruoli tradizionalmente mezzosopranili come  Carmen, Santuzza o Amneris.

Energica e passionale, spiritosa quanto disciplinata nello stile di vita e nelle scelte artistiche, dedita allo studio costante e attenta alla drammaturgia musicale, tanto da aver più volte rifiutato di collaborare con registi poco rispettosi dei libretti (ha mostrato altresì di apprezzare gli allestimenti di Bob Wilson e della Fura dels Baus), innamorata del repertorio italiano e della pucciniana Manon Lescaut, orgogliosa di quella tecnica granitica che le permette di essere ancora una delle Turandot più acclamate di sempre, e forse l’unica ad aver affrontato i tre finali, di Alfano (a cui va la sua preferenza), di Berio e del cinese Hao Weiya (quest’ultimo composto per l’inaugurazione del New National Theater di Pechino nel 2000): dalla tre giorni cosentina è emersa una Giovanna Casolla a tutto tondo, da cui non possiamo che attendere altre intense interpretazioni.

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