Con il Bellini d’Oro ha festeggiato 40 anni di carriera: Lucia Aliberti

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Una sorta di ritorno alle origini: Berlino, prima tappa della sua carriera internazionale, diviene 40 anni dopo il luogo in cui viene celebrata la sua vita per il canto. Così Lucia Aliberti, soprano lirico-drammatico di agilità, allora protagonista della “Lucia di Lammermoor” alla Deutsche Oper, riceve oggi il premio internazionale “Bellini d’Oro” in occasione di un concerto di cui è stata guest star, lo scorso 21 luglio, al Gendarmenmarkt.

Gli studi con Luigi Ricci e Alfredo Kraus, l’esordio al Festival dei Due Mondi a Spoleto, sotto la direzione di Giancarlo Menotti, e una carriera in cui calca le scene di alcuni dei templi sacri della lirica tra cui Teatro alla Scala, Covent Garden, Staatsoper di Vienna, Concertgebouw e Carnegie Hall.

Lo scorso 21 luglio a Berlino ha ricevuto il “Premio Bellini d’Oro”: che significato ha per lei questo riconoscimento?

«Si tratta di un Premio che ho voluto ricevere solo dopo aver raggiunto i più alti livelli tecnico-vocali e professionali. Ricevere questo Premio, come interprete belliniana di riferimento e in concomitanza con la celebrazione dei miei 40 anni di carriera, è stato un grandissimo onore. Ho cantato le Opere di Bellini in tutto il mondo, per questo gli addetti ai lavori mi hanno definito “voce belliniana per eccellenza”. Ed è un grande orgoglio avere ricevuto questo premio a Berlino, città nella quale ho cantato per molti anni alla Deutsche Oper. Si tratta di una città che ha rappresentato per me un trampolino per la mia crescita professionale e in cui è iniziata la mia carriera internazionale. Certo, sarebbe stato altrettanto interessante ricevere il Bellini d’Oro a Catania, città natale di Vincenzo Bellini dove ho cantato quasi tutte le sue opere, ma non si sono create condizioni favorevoli perché questo avvenisse. Così il Presidente della SCAM il Prof. Giuseppe Montemagno ha deciso di consegnarmi il Premio direttamente nella capitale tedesca, in occasione appunto della celebrazione dei miei 40 anni di carriera».

40 anni di carriera: bilanci?                                                                                    

«Ho percorso la carriera che desideravo, in periodi in cui il Belcanto era rilevante e ancora gli amanti dell’opera erano appassionati e desiderosi di scoprire nuove voci che perpetuassero la tradizione di artisti come Di Stefano, Corelli, Callas, Tebaldi, Zeani, Carreras, Caballè, Freni, Scotto, Sutherland, ecc. Il bilancio è quello di una carriera internazionale assolutamente positiva; quella che ho programmato e pensato, concentrandomi in primis sull’Opera ma estendendo la mia arte, sempre da purista, anche nei grandi recital con Orchestra nelle grandi Concert Hall di tutto il mondo. Così come è accaduto per i Gala-Concert internazionali che mi hanno permesso di vivere momenti emozionanti e incontrare grandi personalità del panorama mondiale in tutti i campi: Capi di Stato, star del cinema, reali, premi nobel ecc.  Sono state tutte esperienze che mi hanno arricchito, inorgoglito, formato, e permesso di dare colori e sfumature diverse ad una carriera che rischiava di essere comunque importante ma a tinta unita».

Un’esperienza indimenticabile…

«Il Concerto per Papa Wojtyla in Piazza S. Pietro per 200mila persone, in mondovisione per il Giubileo mondiale delle famiglie: ricordo ancora l’emozione di aver baciato il Papa nonostante il protocollo lo vietasse. Poi, molti momenti che hanno rappresentato tappe salienti nella mia carriera artistica: in primis, gli anni di studio a Roma con il maestro Luigi Ricci di cui ho immensa considerazione e lo studio continuo della tecnica vocale con Alfredo Kraus, maestro di vita e di disciplina, ai limiti ma vincente».

Quali cambiamenti riscontra maggiormente nell’odierno mondo della lirica?

«I cambiamenti sono tanti ed è logico che ci siano. L’importante è che sia sempre presente il rispetto verso il compositore, la musica e i cantanti. Credo che la vera innovazione sia quella che, pur adeguandosi ai tempi, si rispetti la tradizione così come nei secoli si è affermata. Innovazione non può e non deve significare “storpiatura” del passato, del quale dobbiamo conservare gelosamente tutti i principi per poter cogliere il meglio del presente e del futuro. Se così non fosse, dovremmo modificare anche i quadri dei grandi pittori, le opere dei grandi scultori, i grandi capolavori della letteratura o sovvertire le regole matematiche e della fisica. Essendo io un’anima romantica, innamorata dell’800, ho avuto la fortuna di poter interpretare tante eroine riconducibili a quel periodo, cantare le opere adatte alla mia vocalità, indossare abiti meravigliosi consoni alla mia personalità; oggi, visti i cambiamenti studiati per modificare l’essenza della tradizione e avere così nuove idee, probabilmente non avrei potuto esprimermi al meglio. Ricordo una delle più belle produzioni della Beatrice di Tenda alla Scala di Pierluigi Pieralli e tante produzioni di Lucia di Lammermoor nel mondo».

Suggerimenti per “apprendisti cantanti”?

«Studio, abnegazione, sacrificio, serietà, cultura, volontà e coscienza delle proprie capacità. A parte alcuni casi che riguardano i cantanti supportati da agenzie forti e dalle case discografiche più importanti, mi sono resa conto che non è facile modificare i sistemi che hanno sempre dominato il mondo musicale. Oggi i cantanti hanno rilevanza minore e quasi sempre non sono neanche nominati come protagonisti assoluti nelle opere liriche. Mi sono sempre battuta per mettere la voce al primo posto e cantare in proscenio permettendole di espandersi nell’acustica del Teatro. I cantanti sono i protagonisti assoluti di un’opera, i Direttori e i registi devono quindi accompagnare e sostenere i cantanti, non soffocarli, stancarli con troppe prove, o ridimensionarli per gelosie o strane mode. Oggi ci si trova in un momento di grande confusione dove lo studio e i principi che dovrebbero essere la base di tutto contano assai poco. Un suggerimento è quello di imparare a sopravvivere, cercando di inserirsi al meglio e con profitto in questa società con mezzi moderni. Comunque, non credo che ci sia una ricetta per migliorare ciò che oggi non va nel mondo dell’opera. La formazione vera richiede anni di studio e i giovani trasportati dall’onda non vedono lo studio della tecnica vocale e la preparazione musicale come una priorità, credono che sia sufficiente entrare nello star system, facendosi guidare da agenti occasionali e il gioco diventa semplice. In verità diventa anche più crudele perché si può diventare subito famosi ma non tutti riescono a sostenere una carriera più di 10 – 15 anni se non sono dotati di forte personalità e una buona tecnica vocale sempre aggiornata anche ai cambiamenti fisici».

È considerata una delle artiste più complete: musicista e compositrice. Come è nato l’amore per il canto?

Direi che è stato un percorso tracciato fin da principio. A casa avevamo, grazie al nonno paterno, tanti spartiti di musica e di opere e tanti strumenti violino, pianoforte, chitarra, mandolino, fisarmonica, clarinetto… io li suonavo tutti con grande passione e curiosità…ero considerata un multi talento. Studiavo musica con i miei fratelli ma all’arrivo del Maestro di musica loro si nascondevano, mentre io ero entusiasta e non volevo mai finire la lezione… ero una spugna e avevo voglia continua di apprendere».

Specialista del repertorio belcantistico e specialmente belliniano: il ruolo che sente più suo e perché?

«Prediligo le eroine romantiche che mi assomigliano di più, quelle che hanno un carattere complesso, poliedrico, forte personalità, intensità, spessore, dunque donne di carattere ma con tante sfumature. Il ruolo belliniano che sento più mio è Beatrice di Tenda mentre di Donizetti quello di Lucia di Lammermoor. Beatrice di Tenda è un capolavoro, conosco a memoria tutto lo spartito e le parti di ogni singolo strumento, e da un punto di vista armonico ha dei risvolti melodici superlativi e inaspettati, un’opera che Bellini scrisse dopo la Norma, quindi riconducibile all’esperienza più matura. È un’opera che dipinge tutti i colori del Belcanto, tutte le sfumature e la magia dei filati, delle colorature d’impeto e di agilità vocali rapidissime quasi rossiniane (mi riferisco all’aria di Semiramide “Bel raggio lusinghier”) nel finale primo, unite ad agilità drammatiche, in tanti passaggi, come nel duetto col baritono. Un’opera sottovalutata perché poco conosciuta. Poi la “Lucia di Lammermoor”, opera melodrammatica dove il personaggio di Lucia sottolinea al massimo una passionalità fisica, violenta e forte che esprime nel canto melodico, etereo, sublime, nostalgico con momenti di intensa drammaticità reale, grande impiego strumentale nel grande concertato finale del primo atto o momenti elegiaci con l’impiego strumentale dell’arpa. L’opera che è diventata il mio cavallo di battaglia e che ho cantato nei più importanti Teatri d’Opera del mondo: 4 diverse edizioni alla Scala di Milano, al Covent Garden di Londra, alla State Opera di Vienna, all’ Opera House di Zurigo, al Metropolitan di New York, al Teatro Colon di Buenos Aires, al Bolshoi di Mosca, ecc».

Caratteristiche per diventare una stella del panorama lirico internazionale?

«Non ci sono caratteristiche, si vive in periodi diversi e questo di adesso è una rivoluzione… Non c’è una ricetta per tutti i tempi, ci sono occasioni più o meno favorevoli che, unitamente alla serietà professionale e ad un po’ di fortuna e costanza, possono rappresentare un mix giusto e vincente. Le carriere di quaranta e più anni non si improvvisano».

Sogni ancora non realizzati?

«Cantare la “Isolde” di Wagner ma resterà sempre e solo un sogno. Così come un altro sogno irrealizzabile è quello di “calpestare” tutte le sere il palcoscenico e cantare per stare bene. Ma sarebbe fisicamente impossibile, nonostante solo sul palcoscenico mi realizzi al massimo e nella vita normale mi senta un pesce fuor d’acqua; è una sofferenza ma la natura ti mette davanti alla realtà, il fisico cambia, le forze diminuiscono, la pazienza si esaurisce. Così si incominciano a trovare nuove dimensioni e altre realtà interessanti».

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