Il pianista francese Jean-Yves Thibaudet è una delle personalità più importanti e multiformi del mondo pianistico internazionale.
Celebre interprete del repertorio francese, che ha inciso generosamente per la Decca, coltiva un caldo interesse anche per jazz e colonne sonore, mostrando un interesse globale per la musica. Per il Bolzano Festival Bozen, Thibaudet è interprete del Concerto in Fa di Gershwin il 24 agosto e dell’imponente Turangalîla-Symphonie di Messiaen il 28, diretto da Ingo Metzmacher alla guida della Gustav Mahler Jugendorchester.
Lei è un interprete di riferimento per il repertorio pianistico francese, cosa contraddistingue quel mondo espressivo?
Si tende spesso a mettere tutti i compositori francesi in un solo cesto, ma ci sono in realtà molti volti differenti. Debussy è stato forse il più moderno di loro, inventandosi proprio un nuovo linguaggio, sia armonico che pianistico, e ce ne si accorge soprattutto quando si osservano poi i brani tardi, come le Études. Ravel, per me, è un autore più classico. Lo dimostra la sua scrittura pulita, così come il suo desiderio di controllare ogni singola nota, ogni singola espressione dell’interprete. Sono due mondi che adoro totalmente e fra cui non saprei scegliere. Quello di Satie, poi, è un altro mondo ancora. Satie fu un autore molto più importante di quanto la gente non realizzi, Debussy stesso ne aveva una grande stima. Sviluppò nel suo stile un linguaggio che era a sua volta estremamente moderno, costituendo anche un ponte con il jazz, e potremmo dire che sia stato il primo minimalista. Cinquant’anni prima di John Cage, già aveva inventato i moduli ripetitivi alla Philip Glass. Con Messiaen si prosegue, tutto è connesso. Il suo era un mondo di religione e fede, un mondo di ritmo, per cui nutriva aveva un grande fascino. Ed era un mondo di colori, che Messiaen metteva in stretta correlazione con la musica. Skrjabin cominciò con questa relazione e Messiaen la portò ad un altro livello. Per chiarire quanto fossero importanti i colori per lui, ho avuto modo di conoscere bene Messiaen e sua moglie Yvonne e uno degli oggetti cui lui teneva di più al mondo era la sciarpa che gli aveva cucito Yvonne. Ogni inverno, ogni anno, aveva sempre quella sciarpa, che era caratteristica per la moltitudine dei suoi colori, un arcobaleno variopinto. Alla fine della sua vita la sciarpa era ormai vecchia e rovinata, eppure era la cosa più preziosa che avesse, sia per il legame affettivo, sia per il valore che quei colori avevano per lui. Sua grande passione fu anche, com’è noto, il canto degli uccelli.
Qual è dunque il ruolo del pianoforte nella sua Turangalîla?
La Turangalîla è un brano completamente unico nel repertorio musicale. Nacque quando il grande direttore Serge Koussevitzky chiese a Messiaen di comporre un brano per lui dandogli carta bianca. Così Messiaen se ne uscì con quest’opera gigantesca, non facilmente identificabile: non è una sinfonia, è un monumento, sono dieci movimenti con orchestra immensa, pianoforte solista e onde Martenot. Nonostante questa imponenza, il ruolo del pianoforte è chiaro: per Messiaen è praticamente un concerto per pianoforte. Il ruolo solistico dello strumento non è solo specificato in partitura, ma l’autore fece persino un piccolo disegno per mostrare come dovesse essere posto. Il pianista suona per tutto il brano e ha molte cadenze solistiche, pur essendoci un po’ di tutto, anche momenti in cui il pianoforte è un colore nell’orchestra.
La Turangalîla è un brano sull’amore eterno, sul ritmo, sul tempo, tutto inteso in un’accezione molto spirituale e filosofica. È costruita in una maniera geniale, con i suoi temi ricorrenti e l’elaborazione ritmica, e ti cresce addosso, più la ascolti, più ti immergi nel suo linguaggio, più ne sei affascinato e più la capisci. Credo che possa veramente cambiare vita musicale di chi lo ascolta e ciò che è incredibile è che l’ho suonata in molte diverse occasioni, anche per le scuole!, e ogni volta la reazione del pubblico è stata fenomenale. Anche chi non era esperto di musica, anche chi non conosceva minimamente il brano, alla fine si era in qualche modo trasformato. L’effetto fisico è così forte che non può non toccarti l’anima e chiunque alla fine del brano vuole solo alzarsi in piedi, urlare: è un’esplosione di gioia.
Lei suonerà anche Gershwin, il 24 agosto. Cosa la affascina di questo autore e del suo stile?
Tutti questi compositori sono in qualche modo collegati e si influenzarono. Ravel andò in America e conobbe il jazz ed il blues, conobbe Gershwin e la sua musica e ne venne completamente rapito. Quando tornò in Francia e compose i due Concerti per pianoforte, rese queste relazioni molto chiare. Gershwin fu dunque fonte di grande ispirazione per Ravel, che era a sua volta una grande ispirazione per lui. Ci sono diversi momenti del Concerto in Fa di Gershwin che mostrano chiaramente il suo debito nei confronti dell’impressionismo francese di Debussy e Ravel. Gershwin, però, è un compositore unico, anche per la sua incredibile abilità nell’essere maestro in ognuno dei moltissimi ambiti in cui si è cimentato. Ai suoi tempi probabilmente questo genere di talento fu molto complesso da comprendere. La sua musica è speciale, penso che potrei descriverla solo dicendo che è una musica che rende le persone felici, che le fa sorridere, che vuole farle ballare. Gershwin aveva un’incredibile dote tematica ed è inoltre il più interessante collegamento tra musica classica e jazz. Ciò che secondo me è fondamentale per suonare e comprendere la musica di Gershwin, infatti, è conoscere il jazz, altrimenti non riesci veramente a comprenderlo. Lo puoi leggere, lo puoi suonare, ma è un po’ come imparare una lingua per fonemi, riesci a pronunciarla ma non hai idea di cosa tu stia dicendo. Credo che con Gershwin sia una cosa simile: per comprendere il suo è un idioma, serve il jazz. Per me è stato subito evidente. Fin da piccolo, infatti, sono sempre stato attratto dal jazz, l’ho suonato ed anche inciso ed è sempre stato parte della mia vita.
Lei è noto anche per la registrazione di diverse colonne sonore. Cosa ne pensa di questo genere? Da pianista, come cambia il suo approccio su questo repertorio?
Dobbiamo ricordarci che nei grandi giorni del cinema, anni ’40 e ‘50, ogni compositore classico scriveva per il cinema, era qualcosa di completamente normale. Solo più tardi si è creata una divisione tra compositori classici e compositori che scrivono musica da film, come se fossero di serie B. E questo mi fa uscire pazzo, perché ci sono compositori geniali, basti pensare a John Williams: per me sono solo grandi compositori.
Da pianista, posso dire che affrontare una colonna sonora è completamente l’opposto di ciò che faccio normalmente ed è proprio questo ciò che mi piace così tanto. Quando studi un brano di repertorio classico, la parte è precisa e devi seguire l’intenzione del compositore, ma sei completamente libero per quanto riguarda l’interpretazione. Quando invece suoni una colonna sonora, sei al servizio della storia, del film, delle immagini, non sei più tu a decidere tutto. Quando registriamo abbiamo un monitor con le immagini da seguire e ogni tanto abbiamo anche il click in cuffia per il metronomo. All’inizio è innaturale, ma quando ti ci abitui, ti rendi conto che anche in queste condizioni riesci a trovare la tua flessibilità. Capita di fare uno, due, tre, dieci, quindici take degli stessi trenta secondi, finché non raggiungiamo il giusto sentimento e osservando il film per capire. Ma quando finalmente raggiungi l’intenzione adatta è magia, ti rendi conto di quanto sia importante la musica nel film.
Un’ultima cosa, molto importante per me, è il ruolo che la musica da film può avere per la musica classica: ho visto nella mia vita come la musica da film abbia attratto tantissime persone che non mi conoscevano per la mia carriera e che non vanno normalmente a concerti, ma che amano i film, hanno visto il mio nome e mi hanno cercato. Mi è capitato di vedere persone al loro primo concerto, che mi avevano conosciuto così. E ti rendi conto che stai toccando milioni di persone, che normalmente non avresti avuto modo di toccare. Vedi su Spotify che spesso la gente che ascolta la colonna sonora di Pride and Prejudice, che ha oltre dodici milioni di ascolti, va poi ad ascoltare Chopin, o il resto di ciò che ho registrato e capisci come poi le cose tornino insieme. Dobbiamo veramente aprire la musica classica ad un pubblico molto più ampio e penso che la musica da film sia un’incredibile opportunità. E ne vale la pena, davvero.