Al Teatro Alighieri di Ravenna un omaggio alle “miniature” di Leonid Jacobson

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Il tour italiano del Balletto Jacobson di San Pietroburgo si è concluso al Teatro Alighieri di Ravenna con un Gala dedicato al fondatore della compagnia: Leonid Jacobson. Va detto: un autentico genio della coreografia del Novecento, non inferiore al celebrato coetaneo émigré George Balanchine. Una vita artistica drammaticamente tarpata dalle autorità sovietiche quella di Jacobson, tuttora sconosciuto e incompreso, pressoché totalmente in Occidente, parzialmente anche in Russia, dove il direttore Andrian Fadeev sta cercando di recuperarne il  repertorio, vasto di centinaia di titoli, per lo più perduti. In un programma che la compagnia dovrebbe avere il coraggio di dedicargli interamente, all’Alighieri si sono visti autentici capolavori, nel formato prediletto dal coreografo: la miniatura.

Jacobson la utilizzava per rinnovare nel profondo il linguaggio classico, come appare in Pas de quatre su arie operistiche di Bellini, citazione del quartetto di Perrot per le dive romantiche, dove stile e coreografia, pantomina ed espressività racchiudono un florilegio di invenzioni. Il coreografo seppe rivisitare con estro squisito anche il passo a due tardo-romantico: in Pas de deux, su musica di Rossini, è incantevole il dialogo amoroso tra i due protagonisti: lo si direbbe composto oggi con un registro nuovissimo. L’astrazione proibita dal realismo sovietico è densa di emozioni in Sestetto, un rondò di amori agognati ma respinti che nell’Andante del Concerto per pianoforte N. 21 di Mozart trova ideale compimento.

Una riscoperta per l’Italia è Vestris, l’assolo composto da Jacobson per l’esordiente Baryshnikov che vi vinse il concorso di Mosca e lo portò in America quale sua pièce de résistance. Nell’interpretazione di Leonid Krapunskij, che non si fa spaventare dal confronto con il predecessore, immaginiamo il virtuosismo espressivo del leggendario ballerino Auguste Vestris.

L’acrobatismo sovietico talvolta un po’ greve rinasce con aerea finezza in Valzer viennese, su musica di Strauss, dove la coppia occidentale che amoreggia con eleganti maniere adombra la fascinazione per quel mondo oltrecortina che Jacobson non conobbe mai. Mentre Innamorati evoca l’amore per il folklore, spesso dagli accenti yiddish, che ispirò sempre il coreografo ebreo (anche per le sue origini osteggiato), tanto più quando bandito dai grandi teatri trovò lavoro in Moldavia in una compagnia di danze nazionali.

Vita e destino di un genio del balletto.

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