Incontro Maroussia Gentet in occasione del suo splendido concerto per Traiettorie, il 6 novembre a Parma. La giovane pianista francese ha vinto il celebre Concours International de piano d’Orléans, dedicato alla musica del Novecento e contemporanea e ha presentato un programma articolato che da Invocation di Nante l’ha portata alla Sonata di Dutilleux, passando per i Six Encores di Berio, Tangata Manu di Stroppa e i Trois préludes di Schœller, in prima esecuzione assoluta e dedicati alla pianista.
Com’è iniziato il tuo percorso con la musica contemporanea?
I miei genitori non sono musicisti, ma sono grandi amanti della musica e fin da piccola mi hanno portato a moltissimi di concerti, con una gran varietà di repertori! Molta musica da camera e molta musica contemporanea. Ricordo che quando avevo otto o nove anni mio padre mi fece ascoltare i Regards di Messiaen e mi piacquero molto. La curiosità per quella musica mi è rimasta da allora. Quando avevo dodici anni ho scoperto la Sonata di Dutilleux e suonarla è diventato il mio sogno. Ho aspettato poco: a quattordici anni ho iniziato a studiarla e da allora l’ho suonata tantissimo e spessissimo, tanto da decidere di includerla nel mio primo CD. Durante l’adolescenza, quindi, ho coltivato questi molteplici interessi musicali, per poi di concentrarmi di più sul repertorio più classico. Ma è stato per poco, sono presto tornata al contemporaneo: amo troppo poter lavorare con il compositore, è una cosa che ho sempre sognato di poter fare. E ora sto vivendo il mio sogno grazie al Concorso di Orleans!
Quali sono le difficoltà di un concorso interamente dedicato alla musica contemporanea, dunque? Come ti sei preparata?
Non ci sono davvero dei problemi specifici, ho semplicemente iniziato a prepararmi con grande anticipo! Per potercela fare, infatti, ho compiuto un percorso piuttosto articolato, ad esempio entrando in un programma che mi permetteva di suonare con un’orchestra e un ensemble contemporaneo. Quello è un repertorio molto specifico e complesso, ma alla finale dell’Orleans ti viene richiesto e devi essere molto disinvolto nell’insieme. Era da tempo desideravo partecipare al Concorso, infatti, ma il programma era troppo lungo e non ero pronta per la finale con l’ensemble. Proprio il programma è un punto importante: c’ho pensato moltissimo, credo di aver passato due o tre mesi solo cercando brani e cercando di costruire dei programmi con dei temi, con delle linee guida. È una delle cose più interessanti del concorso: ti danno la possibilità di costruire il tuo programma e ti valutano per il significato dell’intera prova, non solo per i risultati ottenuti nei singoli brani. Questo è molto interessante, perché ti permette di costruire un programma che segua veramente la tua personalità come artista, qualcosa che non tutti i concorsi permettono. Anche se non lo vinci, quindi, la preparazione è interessantissima.
Come si trova il suono di un brano contemporaneo, quando non c’è modo di lavorare a stretto contatto con il compositore?
Devi provare moltissime cose, devi esplorare, devi trovare una visione orchestrale dello strumento, che è presente in molto compositori del passato, certo, ma che è molto importante anche in Duttilleux o in Stroppa, per dire. Proprio a proposito di Stroppa, ho scoperto la sua musica, nello specifico Tangata Manu dalle Miniature estrose, in occasione del Concorso. È uno dei brani più difficili che abbia suonato, ma è incredibile. Ciò che trovo più interessante è la totale trasformazione sonora del pianoforte tramite il pedale tonale, che bloccando alcune note trasfigura completamente il suono dello strumento. Questo va capito e ricreato, seguendo sempre lo spirito del brano. Fondamentale, infatti, è l’identità spirituale, il background del brano, che alla fine è ciò che ti porta a trovare il giusto approccio, il suono più significativo. Ad esempio questo programma è costruito intorno alle forze della terra, partendo dal brano di Alex Nante, Invocation, che realizza con una scrittura molto romantica una vera e propria estrazione di forze dalle profondità della terra, in un’invocazione dal profondo carattere rituale. Qui non ci sono gesti o effetti particolari, ma è un ottimo esempio di come il contenuto ti porti a trovare il giusto suono, cosa che avviene anche con gli Encores di Luciano Berio. Con i Préludes di Schoeller, invece, abbiamo tre brani che si concentrano soprattutto sul ritmo e sulla qualità dell’ascolto, sia dell’ascoltatore che del pianista. Dal primo istante in cui il martelletto tocca le corde, devi dividere il tuo ascolto e immaginare il ritmo che si rifrange nella sala da concerto. Non a caso i Trois préludes sono molto vicini ad un immaginario che è ricco di suggestioni visive, essendo ispirati a tre pittori, Twombly, Pollock e Van Gogh. Il secondo Preludio, poi, richiede un tocco particolare direttamente sulle corde per poter generare alcuni effetti, trovando il giusto equilibrio nello strumento, senza premere troppo forte né troppo leggermente. C’è una relazione molto interessante per l’interprete tra le parti in cui si suona sulle corde, che sono molto orchestrali e in cui si possono sentire le percussioni, i violini e gli altri strumenti, e le parti sulla tastiera, che rispondono a questi strumenti. Sono come due mondi distinti che comunicano e come interprete devi modellare i giusti tempi per ogni sezione, muovendoti in una scrittura molto precisa. Questa scrittura precisa la troviamo anche in Stroppa, ma in quel caso sei molto libero nel collegamento tra gli elementi. Lì dipende tutto da come ascolti le note, dai processi, dai gesti. E devi immaginarti che il pubblico stia entrando nel tuo ascolto e provare a guidarli. Anche la Sonata di Dutilleux, per quanto diversa, è caratterizzata da una forte tensione gravitazionale, che la riporta costantemente dall’alto verso il registro più grave, soprattutto nel secondo e terzo movimento.
Parlando proprio di Dutilleux, com’è il suo pianoforte?
Trovo che sia molto, molto orchestrale. Il che è ovvio, perché moltissima sua musica è orchestrale. Ma al contempo è molto cantabile, le melodie di Dutilleux sono bellissime e questo lo si nota moltissimo nei suoi brani vocali. Ovviamente prima di poter far cantare così lo strumento ce ne vuole, è il problema di tutti noi pianisti!, ma questa binomio cantabilità-linguaggio orchestrale lo troviamo anche nei brani pianistici. Non solo nella Sonata, anzi, si trova ancora più nei Preludi! Pur essendo un lavoro personale e compiuto, infatti, la Sonata ha un linguaggio ancora giovane, essendo ispirata a Stravinskij, Prokofiev e Roussel, mentre i Preludi hanno un linguaggio ancora più personale e ancora più orchestrale, che l’interprete deve saper trovare. Il primo Preludio, ad esempio, è così compatto, nelle note gravi del pianoforte, con una scrittura che è evidentemente orchestrale. Per il pianista è complesso far risonare con chiarezza tutte le note nel registro grave, quindi devi immaginare gli ampi spazi orchestrali e timbrare ogni nota come uno strumento diverso. Solo così, inoltre, si riesce a far emergere il raffinato e sottile mondo armonico di Duttileux!