Una famiglia come tante, che vive la propria quotidianità come molte altre del ceto medio giapponese: la storia raccontata da Kiyoshi Kurosawa è solo in apparenza, com’è possibile intuire, ordinaria. Un nocciolo di verità aspra si svela infatti scena dopo scena, conducendo protagonisti e spettatori verso una dissoluzione apparentemente inesorabile.
Eppure, il mondo forse non è destinato ad andare in pezzi: sono i tocchi sospesi al pianoforte di Kenji, il figlio del protagonista, a infondere una nuova speranza, durante un’audizione ottenuta nonostante il divieto a studiare musica del padre.
Sono le note del “Claire de Lune” di Claude Debussy a sospendere chiunque, da un lato all’altro dello schermo, tra il finale del film e un nuovo inizio. La melodia non è solo un motivo facilmente riconoscibile in tutto il mondo, bensì simbolo più incisivo: svela l’essenza stessa dei personaggi, tratteggia delicatamente le sfumature emozionali, si contrappone in modo netto alle leggi dell’apparenza e dell’inganno. La musica di Debussy è leggera, non necessita di orpelli e, sotto l’apparente scorza di banalità di una scelta, riscopre la vera essenza del compositore e di un’anima sensibile.