Gli autori russi sono stati i protagonisti del concerto di sabato 2 dicembre, terza di tre repliche, presso la Sala Santa Cecilia del Parco della Musica ad opera di Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Sul podio Stanislav Kochanovsky, in sostituzione dell’indisposto Semyon Bychkov.
Il programma era allettante: la Prima Sinfonia “Sogni d’inverno” di Čaijkovskij e “Le campane”, cantata per orchestra, coro e solisti di Rachmaninov. Si tratta di due brani di rara esecuzione in Italia, soprattutto il secondo, che svolge insieme ai Vespri un importante ruolo nella poetica del compositore russo. Questa veste d’importanza storica e stilistica circonda anche la Prima di Čaijkovskij, cui è affidato il ruolo di inaugurare un percorso sinfonico che si rivelerà uno dei più felici dell’intero Romanticismo. Entrambi i brani, tuttavia, non sono di facile esecuzione. La “Sogni d’inverno” è di fatto un geniale esperimento, in cui si riconoscono molti momenti squadrati ed accademici, cui solo il gesto del direttore può donare concreta vitalità. La direzione di Kochanovsky, invece, è sì stata caratterizzata da una grande precisione e brillantezza, ma non è riuscita a superare la scolasticità per penetrare nel contenuto tormentato del lavoro. Ben curate le sezioni, splendidi gli equilibri sonori, brillante l’esecuzione degli orchestrali, ma mancava nell’intera Sinfonia uno slancio che colmasse le ampie distese tra gli elementi dell’iniziale Allegro tranquillo e coinvolgesse l’orchestra nel caldo canto dell’Adagio cantabile ma non tanto o nel fresco e grazioso Scherzo. Chiarezza e brillantezza, oltre che un certo virtuosismo, hanno invece illuminato il Finale, concludendo con gioia la Sinfonia.
Ne “Le campane” l’orchestra è stata tecnicamente un po’ più imprecisa, migliorando di fatto l’esecuzione.. Abbandonata parzialmente una distaccata lucidità, coro, orchestra e direttore si sono permessi qualche slancio di maggiore effetto, soprattutto nell’imponente e furioso terzo movimento, pur senza donare un’esecuzione pienamente coinvolgente. Eccetto qualche momento di dubbio nel secondo movimento, anche “Le campane” sono state ben realizzate. Una lode va sicuramente agli archi, in special modo violini e violoncelli, per la grande coesione interna. Tra i fiati, invece, una menzione va soprattutto al corno inglese Maria Irsara, che ha donato uno splendido solo all’inizio dell’ultimo movimento. Ottimo il coro, che si è confrontato con successo con la complessa partitura salvo qualche sbavatura d’insieme e intonazione, tutto sommato trascurabile. Buoni anche i solisti, in particolar modo il basso Dimitry Ivashchenko, il più espressivo e convincente dei tre. Ben curato anche il più corto intervento del tenore Sergey Radchenko, mentre, seppur molto espressiva nello splendido crescendo, ha avuto maggior problemi di appoggio e di intonazione il soprano Evelina Dubračeva.
Si è trattato dunque di un concerto senz’altro ben realizzato quello di Kochanovsky, cui però è mancata la profondità e l’intensità che ci si poteva aspettare da questo repertorio, forse a causa di una frettolosa preparazione dovuta alla sostituzione di Bychkov. Un mio particolare apprezzamento va infine alla direzione artistica dell’Accademia, che conferma l’interesse nel portare repertorio meno frequente ma di altissimo livello, in quella che è una delle più importanti sale d’Italia.