A nord della Siria, sulla costa mediterranea, sorge una città antica, dove ogni pietra è intrisa di storia: Ugarit. In un paese straziato da un conflitto che non sembra avere fine, il suo nome è associato a qualcosa di tanto semplice ma, allo stesso tempo, incredibilmente potente come solo la bellezza sa essere.
Sono gli anni ‘50 quando un gruppo di archeologi fa una scoperta all’apparenza comune: una serie di tavolette d’argilla, custodite in una sorta di nicchia. Sono ventinove in tutto e, molte di queste, frantumate in piccoli frammenti. Tutte, tranne una, che si è conservata nei secoli in frammenti più grandi: il suo nome è H6 e ha un valore straordinario.
Già, perché su di essa sono incisi dei versi, scritti in caratteri cuneiformi e in un linguaggio contaminato dal contatto con svariati popoli, risultato di lunghe migrazioni. E non è tutto: sotto questi versi, ecco comparire dei segni ben precisi, con tutta probabilità una notazione musicale. E non una qualsiasi: la più antica mai rinvenuta, dato che H6 ha circa 3.400 anni.
Da decenni, l’archeologia musicale tenta di decifrare il significato di questi versi e la correlazione con la notazione, giungendo a risultati incredibili: ad esempio, un brano sembra raccontare la storia di una donna oste, impegnata a vendere birra ai propri clienti.
La BBC ha dedicato ampio spazio a questo racconto, dove scienza, storia e impegno nel preservare una cultura antica si fondono. Il tutto sottolineando come, proprio in Siria, non solo sia stata con tutta probabilità definita la prima notazione musicale scritta (quantomeno la più antica mai rinvenuta ad oggi) ma anche siano nati diversi strumenti. Lire e liuti, per citarne solo un paio, si sono diffusi velocemente tra Mediterraneo, Balcani e Oriente, assumendo forme diverse, passando tra le dita di donne e uomini in ogni occasione di vita e quotidianità, sopravvivendo fino ai giorni nostri.
Tutto questo, soprattutto in Siria, assume i contorni di una speranza che supera ogni limite e ogni confine.