“Sei repliche in città”, addio a Charles Aznavour istrione dei sogni

in News
  1. Home
  2. News
  3. “Sei repliche in città”, addio a Charles Aznavour istrione dei sogni

Nel dire addio a Charles Aznavour si rinnova uno strano incantesimo. L’incantamento del palcoscenico. Infatti, tra tante canzoni, successi già pienamente classici che entrano di diritto nel grande canone della musica francese, una svetta nella memoria e nell’affetto di chi ama il teatro, quel teatro che scorre nelle vene come una sorta di febbre. Per gli spettatori contagiati da questa malattia che non guarisce, Charles Aznavour resterà per sempre le cabotin, per noi italiani l’istrione. Nel solco di una canzone che precipita in pochi versi l’enigma di un mestiere diverso da ogni altro. Ripercorrere i nodi lirici del suo testo, tradotto da Giorgio Calabrese, può aiutare a capire meglio l’espressione d’arte autentica di questo protagonista della musica che ora se ne è andato.

L’istrione si racconta. La genialità è il contrassegno dell’artista vero. Nasce con lui, ne innerva la vita, ne informa l’esistenza. E se lui non esita a definirsi istrione è proprio perché, lo sa bene, è un fuoriclasse e non teme di dichiarare al mondo l’eccezionalità del proprio talento. Senza arroganza, ma con piena contezza dei propri mezzi. Il suo regno è il teatro che affonda nell’arcaico, nel rituale che tende al divino e che si compie su “quattro tavole in croce”. Scenografia minima ed effetto ammaliante. Perché la “stanza di tre muri” riesce a imprigionare il pubblico rapito dallo spettacolo calamitante e misterioso che si anima davanti ai suoi occhi.

Un istrione vive fino in fondo la strada che ha scelto. Esiste per procura, irrimediabilmente nei panni di un altro e ne è consapevole. La sua è la “giusta dimensione” costruita dalla scena. Perché è la scena stessa a diventare sinonimo di vita. Vita vera nascosta nella finzione che incute anche spavento: “ancora morirò di gioia e di paura quando il sipario sale”. Un gelo, quasi un dolore che precede la prima battuta. Istante tremendo che l’artista attraversa ogni sera senza che gli altri si accorgano. È il prezzo da pagare nel pericolosissimo equilibrio della ribalta. Si esiste del testo e nel testo, in parola e in musica. Soprattutto in musica, perché l’attore dona vita alla parola scritta. La rende ritmo, melodia affamata di realtà, di battito e di respiro. Un “fuoco sacro” che si rinnova “nel sogno sempre uguale”. Benedizione e maledizione, le due facce della maschera, i due lati dello specchio.

Che gli altri facciano la loro parte è l’unica richiesta: che procurino all’istrione “sei repliche in città”. Al resto penserà lui, con i suoi sortilegi. Attraverso la parabola di una bugia d’arte, spinta sino all’autoinganno: “mentre agli altri mentirò, fino a che sembri verità, fino a che io ci crederò”. Gioco di doppio e di nascondimento. Musica dei giorni, tra enfasi e discrezione. Vitalità e abbattimento senza limiti. Charles Aznavour e le sue canzoni hanno attraversato un secolo. Cominciato in bianco e nero e concluso in digitale. Un secolo di guerre e di pace, di risentimenti e di ideologie, di sentimenti e di fabbriche. E quella bohème vagheggiata cento volte, una Parigi solo sognata, intravista sempre in tinte di acquerello sul Lungosenna. Una città che forse non esiste davvero com’è nell’immaginario e giace acquattata tra le pagine di una giovinezza troppo breve o sempre rimandata. A teatro, con l’istrione, quella poetica soffitta di artisti squattrinati ricominciava a esistere ogni volta. Con la stessa passione e la stessa ingenuità. Fragile e forte. Come la musica.

Un nuovo compositore si aggira per l’Europa: Sebastian Hilli
Enrico Pieranunzi e Simona Severini: My Songbook

Potrebbe interessarti anche

Menu