A Roma va in scena “Non è un paese per Veggy”

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«Non è un paese per Veggy’ spara su tutti. Sui vegani e sui non vegani, sui radical chic, sui finti intellettuali, sui cafoni, sui conformisti, sulle dinamiche impure del mondo dello spettacolo e della cultura, compiendo così una pleonastica operazione di smascheramento (certi diffusi meccanismi li si conosce ma si fa finta di non vederli). Sicché ogni riferimento nell’opera a fatti o persone è sì casuale, ma fino a un certo punto».

Questa la dichiarazione d’intenti con cui si presenta al pubblico “Non è un paese per Veggy”, esperimento di teatro musicale contemporaneo che gli autori stessi definiscono la prima “opera-panettone della storia”.

Lo spettacolo, nato da un’idea originale di Federico Capitoni (drammaturgia e libretto) e Domenico Turi (autore delle musiche), andrà in scena, in prima assoluta, sabato 2 dicembre al Teatro Palladium di Roma, per la regia di Ivano Capocciama, nel cartellone del Festival Nuova Consonanza. La prima, con replica nel pomeriggio del 3, sarà inoltre preceduta da un incontro con gli autori e gli interpreti.

Realizzata in collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre, questa nuova opera comica è un tipico esempio moderno di meta-teatro: nello Snobe Theatre di una città non meglio identificata, un gruppo di attori e cantanti sta lavorando alle prove del dramma “ambientalista e nutrizionista” Zucchero di Canna. In scena i clichés del nostro tempo: come spiega Federico Capitoni «È un gioco continuo che vuole smascherare le contraddizioni della musica e del teatro contemporanei, spesso incapaci di trovare una strada comunicativa efficace perché finiscono sempre per rientrare o tra le opere impegnate oppure tra quelle di massa». Non a caso nella storia i protagonisti cercano di mettere in scena un melologo su temi sociali senza riuscirci, e finiranno così per esibirsi in uno spettacolo decisamente più popolare. «Spesso»–  continua Capitoni – «succede che la maggioranza arrivi là dove la minoranza non riesce, perché sembra che questi due mondi non possano incontrarsi mai. Così il nostro spettacolo è anche questo: la celebrazione di un tipo di opera che non deve necessariamente essere “impegnata” per avere un suo valore. Anzi, il fatto che arrivi solamente a una nicchia non è necessariamente un’attestazione di qualità perché un’opera deve comunicare nel modo migliore possibile. Veggy infatti è anche una critica a quei compositori classici che usano linguaggi troppo ermetici, rischiando infine di essere compresi solo da sé stessi».

Tra i personaggi spiccano il tenore Gianluca Bocchino nel ruolo del regista Claudio Diotallevi, detto Veggy, il baritono Giorgio Celenza nei panni del compositore Orfeo (il radical chic figlio del direttore artistico del teatro che rappresenterà la sua opera) e il soprano Damiana Mizzi (la cantante Cecilia Farnese) alla quale sarà affidata l’interpretazione dell’Aria dell’olio di palma, momento clou dell’opera. «Anche in una compagnia di attori così eticamente irreprensibili, che lavorano su un dramma “nutrizionista”, gli intrecci amorosi sono sempre gli stessi e i ruoli teatrali si ottengono con mezzi tutt’altro che canonici» racconta l’autore. Così proprio Veggy e il Cavalier Zampetti  – sindaco della città ed erede di una storica fabbrica di salumi, impersonato dal basso Mauro Borgioni – si riveleranno gli unici personaggi puri e coerenti. Completano infine il cast il tenore Luca Cervoni nei panni del direttore artistico Santi Netto e il mezzosoprano Chiara Osella nella giornalista MILF Sofia Riccardi Rossi Farenese.

A eseguire le musiche di Domenico Turi sarà l’Ensemble Imago Sonora – Alice Cortegiani clarinetti, Misia Iannoni Sebastianini violino, Simone Chiominto violoncello, Samuele Telari fisarmonica, Mario Germani pianoforte, Fabio Cuozzo percussioni – diretto da Andrea Ceraso che, dopo gli studi presso il Conservatorio S. Cecilia di Roma, si è perfezionato con direttori d’orchestra importanti tra cui Bruno Aprea e Marco Angius.

Una pièce audace dunque che mette in scena temi attualissimi fondendo l’opera classica – l’aria, il duetto, la cavatina, il lamento e il coro – con un linguaggio che però non prende affatto dalla lirica, ma che anzi Capitoni definisce “da bar”, il più attuale possibile, a tratti intenzionalmente volgare, sia verbalmente che nello stile musicale: non a caso irromperanno anche il jingle, il rap, e la canzone sanremese a raccontare un Paese ricco di stranezze come il nostro.

Immagine di copertina: Gianluca Bocchino

 

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