Roma: Sonnambula come Alice nel Paese delle Meraviglie

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Toni ovattati nell’orchestra diretta da Speranza Scappucci e atmosfere surreali e oniriche da Alice nel Paese delle Meraviglie, con gli enormi arredi (di Cristian Taraborelli) che ingombrano il palco (proiezione della psiche di Amina, secondo il regista Barberio Corsetti), case lillipuzziane e il flusso (di coscienza?) continuo dei video ‘pop’ di Gianluigi Toccafondo, hanno caratterizzato La Sonnambula in scena al Teatro dell’Opera di Roma (dal 18 febbraio al 3 marzo; la recensione si riferisce allo spettacolo del 23 febbraio).

Una scena animata da continui spostamenti e movimenti di grandi letti, giganteschi comò, enormi poltrone, bambole e pelouches a grandezza d’uomo, in una sorta di horror vacui che talvolta divertiva, più spesso distraeva lo spettatore, soprattutto nei momenti più leopardianamente estatici dell’opera. Alcune trovate della regia, poi, sono sembrate gratuite più che giocose, tra tutte quella di Elvino che nel secondo atto entra in scena sparando ad un tenero Teddy Bear…

Protagonista della serata è stata sicuramente l’impeccabile tecnica belcantistica di Jessica Pratt, un’Amina-bambola che, letteralmente, cresce e raggiunge una maggiore intensità (anche nel volume della voce, persino troppo poco esibita nel prima parte) solo nel secondo atto, quando finalmente la morbida fluidità della suo timbro riesce a infondere emozione alla melodia in “Ah, non creda mirarti”, commovendo gli ascoltatori. Alquanto deludente, invece, l’Elvino di Juan Francisco Gatell, nato come tenore leggero rossiniano, e qui a disagio nel sostenere la lunga e meravigliosa melodia belliniana di “Prendi: l’anel ti dono” e addirittura in difficoltà nelle agilità della successiva cabaletta “Tutto, ah! Tutto in quest’istante”, in costante difetto di tenuta del ritmo e nell’intonazione pastosa. Più sicuro è apparso, anche se non particolarmente convincente, nel secondo atto, favorito dalla tessitura più centrale della sua scena e aria, la celebre “Lisa mendace anch’essa”.

Ottimo il Conte Rodolfo del basso Riccardo Zanellato (che avevamo già ascoltato al Costanzi nei panni di Massimiliano nei Masnadieri di Popolizio), anche se il suo personaggio dovrebbe essere uno charmeur più giovanile e meno appesantito dagli anni. Nonostante la partitura belliniana non lasci grande spazio agli altri personaggi, si distinguono tutti i giovani del Progetto “Fabbrica Young Artist Program, in particolare la Lisa di Valentina Varriale, ma anche Reut Ventorero (Teresa) e Timofei Baranov (Alessio).

Molto deludente il coro preparato da Roberto Gabbiani, sgranato negli attacchi e nell’insieme, dispersivo nelle sonorità e privo di tenuta ritmica: la resa musicale dell’opera ne ha sofferto parecchio, considerato il peso del coro-personaggio in un’opera intimista come La Sonnambula. La mancanza generale di tensione espressiva ed emotiva dello spettacolo è stata dovuta anche alla direzione di Speranza Scappucci (romana di nascita e formazione, con una meritata, bella carriera internazionale in fieri), certamente attenta a evidenziare gli impasti timbrici morbidi e tenui della raffinata partitura, ma meno abile nel gestire gli stacchi dei tempi e la metrica lieve e cullante dei ritmi ternari belliniani. Successo di cortesia da parte del pubblico, con molti anglofoni sostenitori della Pratt. Un’ultima annotazione, tuttavia, la dobbiamo proprio: NON si spara agli orsetti!

Immagine di copertina Ph. Yasuko Kageyama-Opera Roma

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