Non “il pianista sull’oceano” ma “il pianista con le ali”, così è stato più volte definito Roberto Cominati. Napoletano, classe 1969, ex allievo di Aldo Ciccolini, grande talento che alla passione per il pianoforte unisce fin da bimbo quella per il volo.
Studi al Conservatorio della sua città e diversi importanti riconoscimenti tra cui il Primo Premio al Concorso internazionale Alfredo Casella di Napoli nel 1991 e il Primo Premio al Concorso internazionale F. Busoni di Bolzano nel 1993. Si esibisce da solista per alcune tra le più prestigiose istituzioni concertistiche del panorama nazionale ed internazionale tra cui Teatro alla Scala, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Festival di Salisburgo, Theatre du Chatelet a Parigi, Concertgebouw di Amsterdam e Konzerthaus di Berlino, per citarne alcune. Tra le celebri bacchette con cui ha collaborato Daniele Gatti, Simon Rattle e Daniel Harding. Spesso ricordato per la sua altra professione, quella di pilota di linea, preferisce oggi non dilungarsi sull’argomento e concentrare l’attenzione sull’attività pianistica. Sarà protagonista insieme all’Orchestra RAI di Torino diretta da Juraj Valcuha, il prossimo 30 novembre, in replica l’1 dicembre, della Fantasia per pianoforte e orchestra di Claude Debussy. Il programma, tutto francese, prevede inoltre l’esecuzione di Ibéria, n. 2 da Images per orchestra di Claude Debussy, Pelléas et Mélisande, suite op. 80 dalle musiche di scena di Gabriel Fauré e Faust, ballabili dall’opera di Charles Gounod. Lo incontriamo per domandargli del suo rapporto con la musica, col pianoforte e della sua carriera.
L’incontro con il pianoforte?
«È avvenuto molto presto. Fu grazie ai miei genitori che riscontrarono un interesse e un talento particolari per la musica poiché riproducevo con facilità su una pianola ciò che sentivo in tv o alla radio. Così decisero di farmi iniziare con lo studio del pianoforte, avevo 4 anni e mezzo. Poi frequentai il Conservatorio di Napoli e al settimo anno ebbi la fortuna di conoscere Ciccolini con cui proseguii gli studi».
Dopo il Primo Premio al Concorso internazionale Alfredo Casella di Napoli nel 1991, il Primo Premio al Concorso internazionale F. Busoni di Bolzano. In che modo quest’ultimo ha inciso sulla sua carriera?
«Certamente mi ha permesso di accrescere la mia popolarità ma più in Italia che all’estero. Il livello era particolarmente alto, sono stato tra i pochi italiani a vincere questo premio».
Crede che ancora oggi il Primo Premio ad un importante Concorso possa essere determinante per la costruzione di una carriera?
«Non più come un tempo. Oggi sono sempre di più i giovani che fanno carriera pur non avendo mai vinto un concorso importante. Ma in verità anche alcuni vincitori di concorso possono non piacere e rendere quindi questo riconoscimento non determinante ai fini della costruzione di una carriera. Il livello generale dei solisti è più elevato e i pianisti nel panorama internazionale sono sempre di più. Credo che indubbiamente oggi abbia una maggiore rilevanza, rispetto a 20/30 anni fa, l’immagine. Il mercato punta molto su questo aspetto con l’intento probabile di svecchiare un mondo sempre più considerato grigio e polveroso. La qualità è sempre meno determinante e il livello medio sufficientemente alto, ma non lo definirei ingrediente fondamentale per il successo – tranne in casi eclatanti come Trifonov, decisamente al di sopra della media. Insomma, certo non ci si improvvisa perché non conosco bluff totali ma anche i grandissimi sono ormai rarità».
A Torino con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI eseguirà musiche del repertorio pianistico francese: a proposito di questa scelta?
«Eseguirò la Fantasia per pianoforte e orchestra di Debussy, un brano meno suonato ma con un secondo movimento armonicamente davvero interessante. Si tratta di un pezzo non complesso tecnicamente e, a mio avviso, particolarmente adatto alla sonorità di questa orchestra».
Il panorama pianistico internazionale oggi è piuttosto ricco: cosa a suo avviso fa la differenza?
«Ripeto, ho riflettuto spesso su questo aspetto e credo che il successo non sia più dato dal livello. Non so quali siano i meccanismi che lo possano in qualche misura garantire ma non lo ricondurrei oggi a talento e altre qualità tipiche dei grandi interpreti del passato. Basti pensare che i direttori artistici per primi non investono oggi sufficientemente nel lancio di nuovi talenti: insomma il talento non è più essenziale».
Un’esperienza professionale indimenticabile?
«Ho avuto la fortuna di suonare con direttori meravigliosi. L’esperienza con Sir Simon Rattle è stata indimenticabile così come quella con Daniele Gatti…»
Un autore che sente particolarmente suo?
«Non ne esiste uno in particolare. L’affinità con uno o l’altro autore ha solitamente a che fare con il periodo della vita che sto attraversando. Amo il repertorio di inizio ‘900 francese e spagnolo e se dovessi proprio dire quale autore sento più vicino, beh, in questo periodo sarebbe forse Schumann».
E, per concludere, qualche suggerimento per giovani pianisti che desiderino intraprendere la carriera?
«Francamente suggerirei loro di non puntare tutto sul pianoforte ma affiancare a questo un’altra passione. Soprattutto per i pianisti oggi è particolarmente complicato emergere, il mercato è saturo e non riesce ad assorbire una così grande offerta. Non sono d’accordo con i maestri che continuano a consigliare di dedicarsi solo a questo, è indubbiamente un’attività totalizzante ma sono eccessivi i rischi a cui si va incontro. La scelta dell’insegnante è naturalmente fondamentale: mi rendo conto non sia facile, ma non mi stancherò mai abbastanza di insistere sulla ricerca del docente che riesca a stimolare le capacità intrinseche dell’allievo, nel non considerarlo insomma solo un vaso vuoto da riempire».