Dalla sua fondazione, nei primi anni Sessanta, la Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia è attivamente impegnata nella ricerca musicologica ed etnomusicologica. Presso il Palazzo Giustinian Lolin, non si svolge infatti solo attività di ricerca ma nascono anche iniziative editoriali.
Lo scorso 15 maggio, la Fondazione è stata protagonista di un incontro nel quale ha presentato le attività degli ultimi cinque anni, occasione unica per un confronto con il Direttore, Giorgio Busetto.
Dopo cinque anni di attività e ricerca, qual è il suo bilancio?
«Quello che presentiamo ha l’ambizione di essere un lavoro normale. Tutti dovremmo cercare di catalogare tutto, di digitalizzare tutto, di rendere tutto accessibile ininterrottamente a tutti e gratuitamente. Naturalmente questo richiede uno sforzo globale, un grande lavoro di cooperazione fra istituti di cultura, l’applicazione di tecniche condivise. Naturalmente questo richiede risorse adeguate, cioè di avere fondi e di poterli usare per cose che non si mostrano e che quindi non danno immagine. Oggi l’orientamento generale privilegia tutto ciò che dà immagine su tutto ciò che è lavoro ordinario e indispensabile, che si può lasciare indietro perché tanto non si vede. Il Codice dei Beni Culturali ci chiede bensì di “promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso” ma la realtà che ci circonda è ben altra. Nel nostro caso, l’attività di ricerca ha momenti di immagine in occasione di convegni e concerti, ma essa è supportata da un intenso e meno visibile lavoro non solo dei tanti studiosi che vi partecipano, ma anche della Biblioteca che cerca di essere di supporto alla ricerca musicologica e musicale prima e di raccogliere poi i risultati, i documenti scritti, iconici e sonori. Tutto questo in un quadro di salda unità concettuale».
Il processo di digitalizzazione è indispensabile per preservare il patrimonio culturale ma anche per consentirne una sua fruizione più ampia e agevole: come si inserisce in questo campo l’attività della sua Fondazione?
«Il processo di digitalizzazione, integrato e sorretto dalla produzione di adeguati metadati, è volto alla realizzazione di un servizio online il più efficace possibile. Possiamo dire di essere ancora agli inizi. Abbiamo prodotto e stiamo progressivamente caricando decine di migliaia di immagini digitali, ma l’orizzonte (ci siamo appunto dati altri cinque anni di percorso) è molto più ampio. Le conoscenze che abbiamo maturato nei primi cinque anni e che ci sforziamo di mantenere aggiornate ci consentiranno un lavoro molto più produttivo».
Potrebbe illustrarmi brevemente il nuovo database della Fondazione? Da chi è stato realizzato, quali sono i suoi principali vantaggi?
«Il database LEVIdata ospita oggi oltre cinquantamila record di diversa natura, non esclusivamente catalografica, prevalentemente importati dai precedenti database della Fondazione Levi. Lo sviluppo di LEVIdata prevede, in parallelo, il continuo aggiornamento con la bonifica delle collezioni esistenti e l’implementazione delle nuove aggiunte, con particolare riguardo alla realizzazione di collezioni interamente digitali. LEVIdata vuole essere una piattaforma multi-ruolo, complementare al sito istituzionale per la comunicazione al pubblico, e in via primaria per la gestione e la conservazione dei dati relativi alle varie manifestazioni del lavoro svolto alla Fondazione Levi, dall’attività biblioteconomica a quella di ricerca scientifica e in tutti i possibili aspetti in campo culturale, con l’obiettivo di soddisfare la richiesta informativa tanto generica che specializzata».
Sostenete un lavoro di ricerca straordinario e, in modo particolare due temi di ricerca attirano la mia attenzione: la musica per film e l’etnomusicologia. Può descrivermi questi due universi sostenuti dalla Fondazione?
«La musica per film grazie a Roberto Calabretto sta facendo grandi passi. Entro un anno pubblicheremo almeno quattro libri su questo argomento. Abbiamo appena ereditato la biblioteca di Sergio Miceli, altro grande specialista dell’argomento, purtroppo da poco scomparso, e ci stiamo attrezzando con depositi e catalogatori per metterla appena possibile a disposizione del pubblico. Per l’etnomusicologia ci stiamo occupando del fondo di Roberto Starec e sosteniamo l’insegnamento all’università di Torino dove con Ilario Meandri opera Guido Raschieri. Con Maurizio Agamennone abbiamo pubblicato gli atti di un seminario dedicato a Roberto Leydi scaricabile gratuitamente dal sito della Fondazione. Vorrei richiamare l’attenzione su altre due linee di lavoro che stiamo sviluppando: i principi di preservazione dei documenti sonori e la musica bizantina. Penso che prossimamente ci sarà parecchio da dire in argomento».
Quali sono gli obiettivi del prossimo futuro?
«Gli obiettivi del prossimo futuro sono quelli di sostenere l’ampio lavoro coordinato dalla presidente del nostro Comitato scientifico Luisa Zanoncelli, per il quale pure rinvio al sito della Fondazione, e continuare a mettere ordine in casa, restaurando, condizionando, catalogando, digitalizzando e così via, cercando di diventare anche un punto di riferimento per le attività proprie di una biblioteca musicale attiva e aggiornata».
Immagine di copertina Ph. Getty Images