Due i connotati che rimarranno memorabili: impresa eccezionale sul piano organizzativo, prodotto artistico di alta qualità. Rigoletto, nell’inedito spazio del Circo Massimo. L’intuito manageriale di Carlo Fuortes, sovrintendente dell’Opera di Roma, lo ha condotto a costruire un evento di enorme risonanza, superando temibili rischi.
Primo fra i teatri lirici a rimettersi in pista con una nuova produzione di così straordinario impegno scenico-musicale, il Teatro dell’Opera ha lanciato la sfida della rinascita contro il Covid-19. E non soltanto ha creato un kolossal di ottimo livello, ma ha raccolto attorno a sé un parterre de rois molto eloquente: il presidente Mattarella con figlia Laura, i presidenti di Senato e Camera, quattro ministri, sindaco di Roma, prefetto, ambasciatori di importanti Paesi, personaggi del mondo culturale, politico, industriale, economico, eleganti toilettes splendenti fra red carpet e tacco dodici. Serata di scintillante mondanità, ma anche spettacolo di sicuro valore.
Tutto è stato concepito in tempi record, dopo il recente via libero del governo alle attività di spettacolo, svolte in determinate condizioni. La fortuna dell’Opera è stata di incontrare, grazie alla paralisi universale dei teatri, la disponibilità di Damiano Michieletto per la messa in scena, e di Daniele Gatti per la concertazione e la direzione d’orchestra. Il Comune di Roma ha reso disponibile il Circo Massimo, storica sede di grandi eventi. Le norme anti-Covid non permettevano infatti l’uso delle Terme di Caracalla, mancando le distanze necessarie alle 200 persone coinvolte nell’esecuzione. In poche settimane, è così sorta una mega-impalcatura a gradinata, per un pubblico di 1.400 unità, e un palco gigantesco con megaschermo, oltre a un’ampia buca per l’orchestra. Formidabile il lavoro dei collaboratori abituali di Michieletto: Paolo Fantin, scene, Carla Teti, costumi, Alessandro Carletti, luci, Chiara Vecchi, movimenti coreografici, Filippo Rossi, regia camere live (tre steadycam).
Geniale la messa in scena. La vicenda si colloca nel mondo tenebroso di una banda di narcotrafficanti, e in scena sono disposte varie automobili, un furgone, una roulotte e, tocco squisito di degrado ambientale, una grande giostra rotante, comunemente “calcinculo”. Qui la corte di Mantova è impersonata da loschi figuri, e il Duca è un narco-boss perfettamente impomatato, strizzato in doppiopetto d’ordinanza, con automobile coupé fuoriserie. L’azione sul palco si intreccia con dettagli in primo piano al megaschermo, sul quale di tanto in tanto sono proiettati spezzoni dell’immaginario di Gilda, con lei bimba in spiaggia, e la madre a lei ignota, e desiderata. Frammenti in formato tipo super8, come i filmati d’epoca di vecchie cineprese sui quali le famiglie di un tempo fissavano i loro ricordi, specialmente filiali. Anche questa, un’idea talentuosa.
Decisivo è stato il peso, nel successo di una simile avventura, della personalità interpretativa e dell’autorevolezza di Daniele Gatti. Il direttore milanese ha tenuto bene in pugno l’impegnativa macchina, complicata dall’inconsueta distanza con orchestra coro solisti, e dall’uso del megaschermo. Anche se in una cornice gigante, irta di possibili dispersioni, Gatti ha garantito alla partitura l’indispensabile respiro drammaturgico, restituendone l’inconfondibile temperatura espressiva, intessuta di cinismo, tenerezza affettiva, violenza, palpiti amorosi, sete di vendetta. Qualche stacco ritmico ha sorpreso, come «Veglia, o donna» in andamento da canzonetta, o «Sì vendetta» decisamente slentato, quest’ultima scelta forse per andare incontro al baritono. Straordinaria infine, nelle sue angosciose tinte contraddittorie, la concertazione del quartetto. Molto bene ha reso l’orchestra, all’altezza dell’occasione, e impeccabile è apparso il coro, come sempre preparato da Roberto Gabbiani.
La compagnia di canto ha mietuto larghi consensi. Subentrato in corsa all’indisposto Luca Salsi, il baritono Roberto Frontali ha disegnato la figura protagonista nella luce della sua lunga esperienza. Ecco allora la credibilità della linea attoriale, sottolineata anche dalle riprese ravvicinate, così come la proprietà degli accenti e della linea di canto, che guizza tra fremiti amari, trepidanti riverberi, palpiti di amor paterno. Il tutto sorretto da solido, convincente mestiere, anche se non può tacersi che la vocalità talvolta mostri qualche affaticamento. Chi sorprende al di là delle aspettative, corroborate da una già bella carriera, è il giovane soprano Rosa Feola. Magnifica la sua Gilda per la freschezza della voce, rotonda e omogenea nei colori in ogni registro, ben timbrata e ricca di armonici che le permettono sottili sfumature espressive. Senz’altro la voce emergente dello spettacolo, nel quale la Feola si cala con piglio ineccepibile e sempre in parte, anche da ragazzina in maglioncino e jeans che si ricompone dopo una scappatella in abiti succinti. E, come emerge anche dai primi piani, la Feola regge a pieno la tenacia dolente e disillusa della sua passione per il Duca, su un binario interpretativo efficace e pulsante.
Il giovane tenore peruviano Iván Ayón Rivas, Duca di Mantova, esibisce bella tecnica e mezzi vocali indiscutibili. Regge perciò il suo ruolo, nel quale anche fisicamente è ben calato. Il canto è corretto, e cerca di articolarsi tra i momenti diversi. Auguriamoci che l’esperienza gli permetta di affinare il bagaglio di accenti indispensabili al personaggio, in modo da superare un’interpretazione che suona alquanto uniforme. Maddalena è Martina Belli, che tra personale avvenenza e qualità musicali è pienamente in parte. Vocalmente incisiva, la sua intelligente sensibilità le offre l’intera gamma di sfumature, tra ciniche e appassionate, del personaggio. Molto brava. Peccato che la regia calchi la mano oltre misura sulla condotta puttanesca, già sottolineata abbastanza da minigonna inguinale, tacco vertiginoso, décolleté straripante, labbra a canotto. Impeccabile come sempre lo Sparafucile di Riccardo Zanellato, al quale non va cambiata una virgola fra recitazione da un lato, e qualità e peso vocali dall’altro, che ne fanno un furfante di indefettibile professionalità: «Un ladro son forse?… Qual altro cliente da me fu tradito?…». Molto apprezzamento, date le difficoltà dello spettacolo, meritano gli interpreti di contorno: Irida Dragoti, Giovanna, Gabriele Sagona, Monterone, Alessio Verna, Marullo, Pietro Picone, Borsa, Matteo Ferrara, Conte di Ceprano, Angela Nìcoli, Contessa di Ceprano.
La stagione al Circo Massimo continua: in scena in questi giorni e sino al 13 agosto Il barbiere di Siviglia poi balletto con Le quattro stagioni, opera il 31 luglio La Vedova Allegra, il 6 e 9 agosto l’Omaggio a Roma della coppia d’acciaio Netrebko-Eyvazov in recital.
Info: operadiroma.it
Francesco Arturo Saponaro