Prosegue la Stagione di Concerti dell’Orchestra Sinfonica Siciliana al Politeama Garibaldi di Palermo con un appuntamento che ha visto protagonisti, venerdì 8 marzo alle ore 21.00, il giovane direttore britannico Duncan Ward, pupillo di Sir Simon Rattle e un pianista dall’indiscussa carriera internazionale come Barry Douglas.
Programma dall’ampio respiro sinfonico che si è aperto con l’overture dal Benvenuto Cellini di Hector Berlioz (di cui proprio venerdì si celebravano i 150 anni dalla morte) in un’esecuzione brillante e vivace in cui Ward ha saputo pienamente gestire i volumi orchestrali ed esaltare con cura i timbri di una partitura molto varia. L’espressività che Ward ha saputo dare all’esecuzione fa giustizia all’idea berlioziana di un paesaggio sonoro chiaramente italiano modellato su uno stile elaborato e di grande vitalità ritmica. Quella del Benvenuto Cellini è una di quelle tante pagine che, sopravvivendo all’insuccesso dell’opera cui era destinata, è riuscita a farsi strada autonomamente, affermandosi come eccellente pezzo da concerto. La dialettica e lo stile di quest’ouverture ne fanno una composizione di spessore in cui emergono le irrequietezze di Berlioz, perennemente consumato tra passioni e delusioni e che, nonostante tutto, non riuscì mai a spiegarsi le ragioni dell’insuccesso di questo suo primo melodramma.
Sentimenti di passione e irrequietezza, che convivono e combattono, assumono il carattere dominante di tutto il concerto al Politeama di Palermo che è proseguito con Cajkovskij e l’irruente ispirazione del suo Primo Concerto per pianoforte e orchestra op. 23. Nell’immaginario popolare questo concerto si è, nel corso della storia, configurato come il concerto romantico per eccellenza, costellato di emozioni intense e il cui tessuto musicale, secondo Alfredo Casella, è uno scrigno di «sensazioni tenere e drammatiche, gesti e dinieghi che innalzano l’anima per poi sprofondarla nella cupa drammaticità dell’abisso».
Esecuzione irreprensibile dal punto di vista tecnico da parte del pianista Barry Douglas, che però resta troppo concentrato sul perfezionismo e sul gesto a scapito di un trasporto emotivo che avrebbe richiesto forse una maggiore attenzione. Purtroppo quei connotati romantici, che di questo concerto hanno fatto la fortuna, si sono percepiti poco, complice anche uno sbilanciamento dei volumi sonori che ha penalizzato i momenti più lirici come la celebre melodia dell’introduzione presentata agli archi e qui notevolmente seppellita dagli accordi del pianoforte. Seguendo una lettura interpretativa un po’ estrema Douglas sceglie un piglio violento e irruente che purtroppo non paga in termini di resa generale.
Il concerto si è concluso con l’esecuzione delle Danze sinfoniche op.45 di Sergej Rachmaninov, ultimo lavoro in catalogo del compositore russo nonché vero e proprio testamento spirituale dell’autore. Queste danze sinfoniche furono composte da Rachmaninov nel 1940 come base per un balletto del coreografo Michel Fokin la cui morte però compromise l’intero progetto e la sua realizzazione. La partitura è strutturata come una sinfonia in tre tempi, con un movimento iniziale nervoso e ritmicamente dinamico, seguito da un movimento centrale simile a un valzer e termina con un vasto e complesso movimento ricco di soluzioni espressive e virtuosistiche. Molto bene l’esecuzione da parte dell’orchestra, sempre attenta e come di consueto in grande spolvero. Ad arricchire l’esecuzione, priva di sbavature, s’è aggiunta l’impronta interpretativa di Duncan Ward che anche in questo caso ha centrato pienamente lo spirito della composizione riuscendone a rendere evidente ogni sfumatura sonora.