Ribelle, iconoclasta, geniale: il documentario “McQueen” è un omaggio a un genio della moda e dall’arte, scomparso nel 2009, come solo lo stilista Alexander McQueen ha saputo essere. E la colonna sonora è firmata dal Maestro Michael Nyman.
La fragilità e le profondità più oscure dello stilista inglese sono sottolineate da eterei punteggi agli archi, mentre c’è un massiccio intervento orchestrale durante le sfilate, nell’esplosione di energia e creatività. Le musiche di Michael Nyman sottolineano una personalità poliedrica ma anche una storia drammatica, come al sopraggiungere delle note di “Lezioni di piano”: è questo tema infatti ad annunciare la sfilata “La Dame Bleu”, realizzata da McQueen in onore dell’amica scomparsa Isabella Blow.
Oggi, il Maestro Michael Nyman ci racconta l’alchimia tra ispirazione e performance di McQueen e la sua musica, che trasforma il documentario in un’opera epica.
Da Savile Row all’ultima sfilata, Plato’s Atlantis, la storia di Alexander McQueen è straordinaria. Qual è stata la sua reazione all’idea di questo documentario?
Chiunque, tutti, sono stati consapevoli del lavoro di Lee (Alexander McQueen, ndr) a quel tempo, ma ho avuto solo un’impressione generale di ciò che ha fatto, da come è stato rappresentato dalla stampa, in passerella, nei club, sulle riviste e per strada. Così, ci sono molte informazioni che ho scoperto solo dal documentario: Savile Row, Romeo Gigli… in seguito ho cominciato a indossare di nuovo il mio cappotto di Gigli, in suo onore e di McQueen… che ho incontrato solo una volta. Sarà protagonista del mio nuovo libro: “Persone che ho incontrato solo una volta!”.
McQueen amava ascoltare Sinead O’Connor e la sua musica mentre creava: l’ispirazione che arriva dalle sue opere è ancora impressa nella storia di moda, arte e cultura. Come si sente al riguardo?
La cosa strana e fantastica di scrivere musica “che la gente sembra voler ascoltare” è che, anche con una colonna sonora, lo scopo di scrivere musica è astratto, tecnico e procedurale. Anche quando un regista mi ha dato istruzioni, non sappiamo quale sarà il risultato, non sappiamo che effetto farà, dentro e fuori dal film, e non sappiamo nemmeno che ruolo avrà quel brano nella vita delle persone. Misterioso e meraviglioso. Ma questo non è mai lo scopo di scrivere musica, che è un processo puramente privato. E io non sapevo quanto importante fosse la mia musica per Lee fino a che qualcuno mi ha detto che la ascoltava e ci lavorava. Questo quando stavo per sedermi al piano e suonare la musica di “Lezioni di piano” nella cattedrale di St. Paul, per la cerimonia commemorativa in onore di Lee alcune settimane dopo la sua morte.
La colonna sonora del documentario include molte delle sue opere, per esempio il tema di “Lezioni di piano” e “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”. Ma lei ha inoltre fornito al regista musica da camera, brani elettronici e pezzi medievali. Come li ha scelti e su quali basi?
Ho dato ai registi libero accesso a tutta la mia musica dell’etichetta MN Records e lasciato loro la scelta. Ad eccezione di “Memorial”, molto conosciuto da “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante” che non è mai disponibile per nessun regista, dato che è stato scritto in memoria dei 41 tifosi della Juventus che sono stati uccisi allo stadio Heysel nel 1985 e che, a parte il film, è stato utilizzato solo in situazioni simili.
“Lee’s Sarabande” è stato commissionato da Alexander McQueen ed è uno dei temi principali di questo documentario. Cosa può dirci di questo brano?
È davvero un brano che Lee mi ha commissionato nel 1996, penso per accompagnare una quasi-balletto performance durante una sfilata. Il pezzo però non è stato utilizzato, ma questa è un’altra storia…
Quelli di McQueen non erano solo spettacoli di moda, ma happening e la musica aveva grande importanza. Cosa ne pensa del rapporto tra performance e musica?
Credo sia difficile per me separare i film, dagli show, dalla mia musica. Le sfilate stesse, con altre musiche, avrebbero avuto un’impressione totalmente diversa su di me. Così come l’intera struttura sociale che è rappresentata dagli show nel fashion business!
Parlando di cinema, oggi molti registi e compositori sembrano riscoprire quanto i pionieri, come Murnau ed Erdmann, sostenevano riguardo la musica: una colonna sonora non è un semplice riempitivo, bensì un vero elemento drammaturgico. Crede sia essenziale focalizzarsi maggiormente sulle musiche?
Fortunatamente, tutte le colonne sonore che ho scritto hanno sempre avuto un’influenza, diciamo, “benefica” sul film, anche quando a volte i film non sono stati memorabili quanto la musica. Ho riscoperto i film muti dei registi sovietici degli anni ‘20, tre film di Dziga Vertov e “La corazzata Potemkin” di Ejzenstejn. Dato che sono stato anche io un regista per circa vent’anni, quasi tutti i film di Nyman hanno avuto una colonna sonora di Nyman, sempre sorprendente, sempre totalmente adatta e sempre selezionata con un tempo di decisione di circa dieci secondi! E l’ultimo “street film” che ho realizzato è chiamato “Public Light, Private Space” e gira intorno alcuni incontri fuori dal Piccolo Teatro di Milano!
In copertina Michael Nyman Ph. Francesco Guidicini