A Polistena in scena La traviata firmata da Mario De Carlo

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Di ottima fattura la rappresentazione dell’opera verdiana nel Piazzale della Trinità di Polistena (Reggio Calabria), frutto di una produzione del Laboratorio Lirico di Alto Perfezionamento “Morgana Opera Academy”, sotto la direzione artistica di Serenella Fraschini.

Nel già collaudato allestimento (in Italia e all’estero) del regista Mario De Carlo, che firma anche scene e costumi, Violetta è presentata come una star sotto i riflettori, esposta agli sguardi voyeuristici di una folla di spettatori che le si ammassa attorno (evitando però, per fortuna, ogni velleità metateatrale). Il merito di questa messinscena tuttavia non sta tanto nell’attuazione di tale idea (materializzata soprattutto nel preludio e all’inizio del terzo atto), quanto nella cura estrema, nei minimi dettagli, con cui gesti, movimenti e mimica vanno a rivestire in maniera pertinente pressoché ogni verso del libretto, ogni frase musicale, ogni microsituazione scenica; una Traviata quindi intrisa di movimento, ma senza eccessi, rispettosa delle sezioni più “liriche”, in cui si inseriscono talvolta dei controscena improntati al realismo e mai invadenti; degni di nota il duetto tra Violetta e Giorgio Germont, gestito mirabilmente, e l’apparizione improvvisa di quest’ultimo davanti agli occhi del figlio nel finale del secondo atto: momento di grande effetto drammatico, che ritrae Germont quasi fosse un novello Commendatore mozartiano ben più corporeo.

La centralità di Violetta è esternata anche nella scenografia, tanto scarna quanto funzionale: una struttura circolare praticabile che, posizionata al centro del palcoscenico, funge di volta in volta da tavola imbandita, scrivania, tavolo da gioco, letto, e in tutti i casi, diventa emblematicamente il luogo di riparo per Violetta, su cui va a rifugiarsi nei momenti più cupi e drammatici della vicenda.

Molto belli i nuovi costumi, che, oltre a trasporre la vicenda nell’ultimo quarto dell’Ottocento, contribuendo a creare un ambiente più modernamente opprimente, divengono strumenti simbolici che riflettono le sfumature d’animo dei personaggi, come ad esempio la rigida giacca bianca di Violetta che nel secondo atto sembra quasi rappresentare la sua salda grandezza d’animo.

Al pari dei movimenti degli attori, anche l’uso sapiente delle luci di Salvatore Manganaro mette in risalto l’articolazione delle forme drammatico-musicali, come ad esempio sull’attacco della stretta nel duetto di Violetta e Alfredo nell’ultimo atto («Gran Dio!… morir sì giovane»), in cui la donna viene illuminata a giorno, suscitando una reminiscenza strehleriana.

Sotto il profilo musicale, se tra l’Orchestra del Teatro “F. Cilea” di Reggio Calabria si è percepita talvolta qualche piccola sbavatura, la mano esperta di Gian Rosario Presutti ha dato prova di una direzione precisa e sicura, atta a scandagliare con attenzione i momenti più drammatici della partitura verdiana. Ottima anche l’esibizione dei giovani cantanti in scena; Carmen Cardile è perfetta nel ruolo della protagonista, sia dal punto di vista scenico che da quello canoro, sempre sicura, decisa ed equilibrata nell’emissione vocale: da segnalare la grandiosa interpretazione dell’aria del terzo atto («Addio bel passato bei sogni ridenti») che strappa il più fragoroso degli applausi a lei riservati; pur con qualche piccola imprecisione dovuta alle difficoltà linguistiche, il giovane e promettente tenore australiano Robert Barbaro (nella parte di Alfredo) dimostra di possedere un’ottima voce e buone capacità attoriali; mentre la prova vocale di Cüneyt Ünsal (nel ruolo di Giorgio Germont), baritono turco naturalizzato italiano, non è stata probabilmente all’altezza della sua eccezionale presenza scenica, mirabile specialmente nel duetto con Violetta, in cui il decorso drammatico era continuamente rappresentato alla perfezione in ogni suo gesto e movimento; ottime le prove vocali e attoriali di Angelo Michele Mazza (affidabile Dottor Grenvil), Gianluca Marino (un energico e trascinante Gastone, nonché Giuseppe, servo di Violetta), Giovanni De Benedetto (un impeccabilmente buffo Marchese d’Obigny e Comissionario nel secondo atto) e Chiara Marino (una composta e tenera Annina); dignitosi anche Gabriella Grassi (una Flora dal timbro scuro) e Angelo Parisi (imperioso e determinato Barone Douphol).

Anche se con qualche momento di incertezza (Baccanale del terzo atto), è da segnalare infine la buona interpretazione del Coro “F. Cilea” di Reggio Calabria (diretto da Bruno Tirotta), altresì posizionato con cura sul pur limitato spazio del palcoscenico. Sebbene la rappresentazione sia partita “in sordina” a causa di qualche problema tecnico relativo ai microfoni, il pubblico ha poi dimostrato di aver apprezzato uno spettacolo che si è rivelato ottimamente costruito e ben riuscito.

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