“Playing Gamlet”: Fabrizio Gifuni in Concerto per Amleto al Piccolo Teatro

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Piccolo Teatro di Milano, 22 novembre 2018. “Playing Gamlet”: vorrei ribattezzare così il “Concerto per Amleto” interpretato da Fabrizio Gifuni in stretta interazione con le musiche di Šostakovič dirette da Rino Marrone alla testa dell’Orchestra Verdi.

“Playing” perché il gioco di parole con il gioco (oltre che con la recitazione e l’esecuzione musicale) ci introduce già nel taglio drammaturgico che attraverso l’interazione con la musica Gifuni ha dato del suo personaggio, personaggio in cui la componente ludico-grottesca gioca (appunto) un ruolo fondamentale. “Gamlet” perché così suona in russo il nome di Amleto e dunque il titolo dei due diversi progetti musicali da cui sono stati tratti i brani utilizzati in questo monodramma per orchestra e voce recitante. Il fatto è che il primo, le musiche di scena per il Gamlet messo in scena dal regista Nikolaj Akimov nel 1932, sono di un carattere completamente diverso, se non opposto, a quelle composte dallo stesso Šostakovič più di trent’anni dopo per un altro Gamlet (appunto), il film di Grigori Kozintsev del 1964. Tanto epiche e tragiche sono queste ultime, quanto sardoniche e caricaturali sono le prime. D’altronde la rilettura attualizzante di Akimov trasformò (tra l’altro) la pazzia di Ofelia in ubriachezza! La sua morte era nella messinscena del 1932 frutto di mera casualità: semplicemente la ragazza dopo essersi ubriacata al banchetto reale scivola e annega.

Attualizzazione e dissacrazione si ritrovano naturalmente nella musica di Šostakovič che per esempio compone una canzone per Ofelia nello stile del cabaret moderno (alla Kurt Weill, insomma), canzone che Gifuni e Marrone utilizzano nel loro spettacolo in versione strumentale. (Detto tra parentesi, visto che il “Concerto per Amleto” è un work-in-progress: perché non recuperare la versione cantata di questa canzone così come di altri brani?). Dunque l’aver contaminato la tragicità delle musiche per il film di Kozintsev col sarcasmo delle musiche di scena composte per Akimov crea uno spazio drammaturgico perfetto per la costruzione profondamente ambivalente dell’Amleto di Gifuni.

Quest’ultimo rilegge infatti il personaggio shakespeariano associandolo non solo alla spettralità di “questa cosa” (“this thing”: così viene definito nell’Amleto il fantasma del re) che alla fin fine è il teatro, ma anche e soprattutto (se posso dire) al fantasma di Yorick, il buffone del re che come sappiamo aveva portato Amleto sulle spalle “migliaia di volte” quando era bambino. Una drammaturgia tanto più affascinante in quanto riesce a rimettere in discussione le barriere che separano musica e teatro.

Il “Concerto per Amleto” è stato anche un concerto molto sconcertante. Il suo unico limite è che un’operazione così ambiziosa ed estrema richiederebbe, non me ne voglia il pur bravissimo maestro Marrone, una presenza orchestrale più drammaturgicamente innervata e reattiva. Forse anche a causa delle non felici condizioni acustiche (lo Strehler è un teatro sordo), l’impatto musicale non mi è sembrato all’altezza di quello attoriale. Magari questo “Concerto per Amleto”, a cui auguro di lievitare ancora magari integrando nel suo tessuto drammaturgico alcune voci cantate e il coro (per il Requiem), potrà un giorno essere eseguito alla Scala dove debuttò, esattamente quarant’anni fa, il memorabile Manfred di Carmelo Bene.

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