Nel centro dell’Asia, si estende una zona anticamente conosciuta come Mâwarâ al-nahr, oggi identificabile con i territori di Uzbekistan e Tajikistan. Proprio qui, per secoli, ha preso forma e si è diffuso il Shashmaqom, un genere che ha assorbito temi poetici, strutture matematiche e misticismo sufi nel corso della sua evoluzione. Tale è la sua varietà e complessità che, dal nono secolo circa, nascono numerose scuole, soprattutto a Bukhara: la città ne diventa così il vero e proprio cuore pulsante.
Completata l’istruzione, i musicisti che interpretano il Shashmaqom (il cui nome significa “sei maqam”, cioè scale) si distinguono per la loro particolare abilità: può essere interpretato da un solista, così come in gruppo, con un’orchestra composta da flauti, liuti, violini e tamburi a cornice. La linea melodica strumentale introduce la performance, a cui fa seguito quella vocale, o “nasr”.
Nell’interpretazione, il sistema di notazione rende solo un’indicazione generale, pertanto è fondamentale il ruolo della trasmissione orale, da maestro ad allievo. E la storia non è stata clemente: quando, negli anni ‘70 dello scorso secolo, molti maestri sono emigrati negli Stati Uniti e in Israele, il gap culturale ha messo a dura prova la sopravvivenza del genere. Tuttavia, dopo l’indipendenza dei due Paesi nei primi anni ‘90, il Shashmaqom ha conosciuto una nuova era, tanto che oggi, presso il conservatorio di Tashkent, è possibile studiare composizione.
Dal 2008, Shashmaqom è ufficialmente iscritto nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale immateriale dell’Unesco.