Il Novus String Quartet al Festival MiTo

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Un teatro Litta tutto esaurito accoglie il Novus String Quartet nella sua esibizione milanese di MiTo in programma lo scorso martedì 12 settembre.

Il programma è dedicato alla musica americana, compresa una prima assoluta ispirata alla musica degli Stati Uniti, ad opera della compositrice palermitana Virginia Guastella (1979); si tratta di uno dei tre lavori commissionati appositamente da Festival MiTo.

Notevole – e anche apprezzata: non capita tutti giorni di poterla sentire, tanto meno in Italia – la scelta del quartetto coreano di aprire la serata con uno dei brani giovanili di George Gershwin, Lullaby, da lui scritta in origine come esercizio di composizione nel 1919, quando aveva appena ventuno anni. Riciclata come aria per l’opera Blue Monday è stata riportata alla luce negli anni sessanta dall’armonicista Larry Adler, che raccolse il manoscritto direttamente dalle mani del fratello Ira. Si tratta di una breve composizione la cui melodia, molto intensa, si dipana su un delicato pedale di violoncello; l’interpretazione del Novus Quartet è molto dolce e leggiadra, come del resto ci si attenderebbe da una ninna nanna, rassicurante per le orecchie. Non un brano particolarmente complesso, dunque, o che consenta ai musicisti di sfoggiare al meglio le proprie qualità.

In una direzione meno misurata si muove il Quartetto n. 5 di Heitor Villa-Lobos: si tratta di una successione di temi e ritmi tratti dalla musica folklorica brasiliana (non a caso fu rinominato dall’autore Quarteto Popular n. 1), condensati nei tradizionali quattro movimenti di un quartetto. Avviene così una musica che si sussegue vorticosa e quasi schizofrenica nei suoi repentini cambi di direzione.

La già citata commissione di Virginia Guastella porta il significativo titolo Anatomy of an American Dream. Si tratta di una composizione tripartita costruita intorno a frammenti di citazioni di alcuni tra i più famosi temi musicali americani, tratti dal jazz e dalla musica da film. Sono le musiche che, soprattutto nell’ultimo secolo, hanno spesso formato il nostro immaginario sonoro; nel fluire continuo delle note si alternano momenti di grande distensione melodica ad altri più frammentari, come a voler sezionare il mito del sogno americano personificato dal meglio della sua produzione musicale.

È una composizione che da un lato invoglia al gioco, oggi tanto in voga nell’era del post-moderno, del “trova la citazione”: per quanto tratte da opere note, non è così semplice come sembrerebbe, al punto che servirebbe più di un fugace ascolto. Dall’altro fa riflettere su come la musica sia un’arte in grado di rigenerarsi e di autoalimentarsi, creando sempre qualcosa di nuovo anche dal suo passato. È proprio quanto fatto da Guastella: lungi dall’essere un semplice omaggio, il suo è un lavoro conciso e coeso che dispiega in sé stesso  decenni di musica americana popular e jazz provando a dare nuova linfa a un genere, il quartetto d’archi, in declino da tempo e che spesso simboleggia proprio il concetto di musica “classica”.

Chiude il programma il Quartetto n. 12 in fa maggiore op. 96 di Antonín Dvořák, il noto quartetto “Americano”, proprio perché composto durante il periodo in cui assunse la carica di direttore del Conservatorio di New York (1892-95). Dvořák fu una delle primissime personalità musicali dell’epoca a trasferirsi, seppur temporaneamente, oltreoceano, allontanandosi dalla vita culturale europea e questo quartetto è una delle sue prime composizioni dal nuovo mondo.

Sempre precisa e misurata l’esecuzione dei quattro musicisti – non a torto considerati tra i più promettenti quartetti coreani – anche se forse un po’ troppo fredda. Una lettura ligia alla partitura financo a livelli meccanici, che soprattutto nel caso dell’esuberanza di Villa-Lobos risulta tutto sommato abbastanza impersonale. È l’annosa questione della differenza tra interpretazione ed esecuzione: il Novus Quartet ha scelto da che parte stare e, presone atto, non si può che constatarne le perizia tecnica elevatissima. Gli applausi scroscianti al termine del concerto sono più che meritati.

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