Musica e rito del Malawi alla Fondazione Cini

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L’indagine del rapporto tra “Musica e rito”, progetto inaugurato due anni fa dall’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati della Fondazione Cini, continua. E con un certo stile. Nel corso degli ultimi due anni, sono infatti approdati sull’isola di San Giorgio jinn del Marocco, santeros di Cuba e Nat della Birmania: il 22 e 23 ottobre scorsi è stata invece la volta del Malawi, per un’esperienza unica.

Sono gli etnomusicologi Giorgio Adamo e Moya Malamusi a introdurre dapprima una conferenza e, in seguito, la rappresentazione rituale di “Gule Wankulu” e “Chinamwali”. Veri protagonisti sono tuttavia dieci membri di una comunità del Paese africano, musicisti e danzatori mai usciti dal villaggio di Mbanda, vicino alla città di Blantyre, che approdano in Laguna con una carica vitale senza eguali.

Nel loro territorio di origine, vive il gruppo etnico e linguistico chewa, numericamente il più importante del Malawi. Qui, ogni rituale è ancora vivo e radicato, non sono riproposto come semplice folklore: le cerimonie sono parte imprescindibile e intima nella vita del singolo e della società. Anche per questo motivo, l’evento alla Cini non è uno spettacolo, bensì, come annuncia lo stesso Adamo, “Una vera e propria finestra aperta sui rituali del Malawi”.

Entrambe le cerimonie proposte, sono strettamente in contatto tra loro: una legata alle società segrete maschili, l’altra alla dimensione privata delle donne, entrambe hanno in comune intimità e segretezza.

Il “Gule Wankulu”, la “grande danza”, è eseguita dalle società segrete maschili Nyau, strutture che ancora regolano le relazioni di potere all’interno dei villaggi. Le danze sono eseguite in particolari occasioni, come durante l’insediamento di un nuovo capo o, molto più spesso, in seguito a un lutto. Sono le maschere l’elemento che più colpisce della performance: spiriti di antenati o animali, antropomorfe (anche con sembianze di personaggi contemporanei) o zoomorfe, sono custodite in luoghi segreti e inaccessibili. Anche a Venezia, nessuno può entrare nella stanza dove riposano. I danzatori, una volta indossata la maschera, entrano uno per volta, ballano improvvisando tra i canti e i battiti delle mani delle donne, incitate dai tamburi.

Proprio in queste società segrete, sono in realtà ammesse anche le donne, anzi proprio la più anziana è colei che guida il rituale di iniziazione per l’ingresso dei nuovi membri al loro interno. La stessa, si occupa delle iniziazioni delle ragazze con il “Chinamwali”: alla comparsa della prima mestruazione, si prepara una giovane alla vita adulta secondo la guida di una donna anziana. In questo caso, la coreutica ha una valenza prettamente simbolica, un linguaggio precluso agli uomini, che parla di vita sessuale, gravidanza, gestione della casa ed è eseguito con precisi movimenti, soprattutto del bacino.

Come si è detto, oltre che con la presenza stessa, le donne hanno un ruolo fondamentale nei rituali, guidandoli con i canti e i battiti delle mani. Questo è un riflesso della società chewa tutta, a struttura matrilineare e uxorilocale.

Alla fine dell’incontro, una sorpresa: uno dei danzatori arriva senza maschera e continua con un altro rituale, congedandosi con il “Nkanda Woduka”. Quella alla Cini è stata un’occasione unica per abbracciare con lo sguardo, anche se solo per qualche attimo, due rituali antichi e più vivi che mai.

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