Nel XVIII secolo, la vita musicale in Europa conosce un fermento inaudito: grazie anche allo sviluppo dell’editoria (che trova il suo mercato nell’agiata classe borghese alla ribalta) è un pullulare di orchestre, strumentisti di livello, compositori che non solo si dedicano freneticamente al loro lavoro, ma soprattutto viaggiano per tutto il Vecchio Continente e, poco dopo, sino alle Americhe, spostandosi nei centri di produzione maggiori laddove il mercato li richiedeva.
Può accadere così che un giovane nato a Cagliari nel 1722, Giuseppe Agus, si trasferisca a Londra, fulcro insieme a Parigi della vita culturale del tempo, affiancando grandi nomi come Haendel e Johann Christian Bach; può accadere che, quasi trecento anni dopo, quasi per caso, la sua figura venga riscoperta dopo l’oblio e diventi oggetto di una ricerca, finanziata dalla Fondazione Banco di Sardegna, presentata poco prima di Natale dall’Associazione Echi Lontani in partenariato col Conservatorio “G.P. da Palestrina” di Cagliari. Un’indagine, condotta dalla musicologa Myriam Quaquero, intrigante sia per il valore musicale che per lo spaccato della vita settecentesca che offre.
Tutto inizia nel 1991, quando il M°Enrico Di Felice, nel mettere in piedi un programma da concerto dedicato a Luigi Boccherini, si imbatte nel nome di Agus, vero autore dei Duetti op. 37 per due violini per decenni attribuiti al compositore lucchese; poi nel 1995 un Convegno dedicato; nel 2001 l’uscita di un saggio (a cura dello stesso Di Felice, di Roberto Milleddu, del genealogista Fanni e dell’esperto di musica napoletana Maione) e di un’incisione sulla figura del misterioso musicista sardo; infine, oggi, un ulteriore passo avanti.
Si delinea così un quadro che vede l’immigrato Giuseppe Agus e suo figlio Joseph Francis, spesso confusi e dei quali anche Fétis o il Grove danno notizie incerte, destreggiarsi fra l’Inghilterra e la Francia, in mezzo a torbide vicende (Joseph Francis è addirittura accusato di stupro niente meno che da Elisabeth Billington, all’epoca una ragazzina ma destinata a diventare il più famoso soprano inglese del tempo), disastri finanziari, mestieri “alternativi” (i due si improvvisano mercanti) ma, nel frattempo, comporre ottima musica.
Lentamente si sta districando l’annoso nodo delle attribuzioni e stanno emergendo lavori di ottima fattura, come i Twelve Solos for a Violin del 1758, probabilmente la seconda opera di Agus senior, o i Six Trios pour deux violons et basse op. 9. Ma altri indizi ci fanno capire quanto gli Agus, e soprattutto Giuseppe, siano in auge nelle sfavillanti metropoli europee: primo fra tutti, l’introduzione di una sua aria (Was a ever poor fellow) nel pasticcio A love in a village del 1763, accanto a brani di Geminiani, Galuppi e Haendel.
Sicuramente altri brani sono ancora da scoprire, probabilmente sia a Napoli, dove Agus padre studiò, che a Londra, Parigi e in giro per il mondo (recentemente è stata trovata e acquistata una ristampa di alcune Sonate presso un antiquario statunitense); certamente vale la pena continuare a scavare, per portare alla luce, pezzo dopo pezzo, una minima parte di quella produzione sterminata e spesso ricca di valore artistico, frutto della forza vitale che ha reso la musica italiana protagonista delle scene mondiali alle soglie della Rivoluzione francese.