di Vera Vecchiarelli
Lunedì 3 aprile un Teatro dell’Opera sold out ha accolto con entusiasmo Alchemaya, opera “sintonica” in due atti di Francesco e Max Gazzè prodotta da Francesco Barbaro. Sul palco, oltre a Gazzè, Ricky Tognazzi e la Bohemian Symphony Orchestra di Praga diretta da Clemente Ferrari.
La definizione di opera sintonica è un neologismo che spiega sia l’impiego integrato di strumenti sinfonici e sintetizzatori sia la carica innovativa di Alchemaya. Il titolo rimanda ad “alchimia”, termine derivato dal greco che significa fondere: è quello che accade con la combinazione fra i due mondi musicali ma anche con la ricerca di connessioni e scambi tra parole, musica e scenografia. L’opera è un concept che parla della creazione e prende forma dalla ricerca – spirituale e su temi di storia, filosofia, fisica quantistica – condotta da Max Gazzè negli ultimi vent’anni.
Il primo atto dello spettacolo, ovvero l’opera vera e propria, è strutturato nell’alternanza forse un po’ troppo netta tra sezioni narrative e musicali. Le letture, affidate alla voce di Ricky Tognazzi, sono liberamente tratte da vari testi, quali la III e V Tavola Smeraldina e la Bibbia. I brani sono invece tutti inediti, scritti prevalentemente da Francesco e Max Gazzè. Nel secondo atto, strutturato come un concerto, vengono riproposti alcuni dei maggiori successi del cantante in versione sintonica. Si inizia con Ancora il solito sesso, presentata al Festival di Sanremo 2008, per poi ripercorrere le tappe principali della sua carriera con Il timido ubriaco, Cara Valentina, Una musica può fare fino a brani dall’ultimo disco Maximilian (Ti sembra normale, Nulla e Mille volte ancora). Gazzè presenta anche due inediti, Se soltanto e Un brivido a notte, che spiega essere nati parallelamente alla composizione dell’opera sintonica.
Il programma di sala si apre con una citazione di Giordano Bruno, ben rappresentativa dello spirito dell’opera: «l’uomo non ha limiti, e quando un giorno se ne renderà conto sarà libero anche qui in questo mondo». Il superamento delle barriere come presupposto per la conquista della libertà è di fatto il compimento del processo di creazione, un tema che trova riscontro anche nei testi, ad esempio nella Tavola di Smeraldo (F. Gazzè, M. Gazzè): «Tu, uomo del presente, / stella triste / confinata sempre / nelle sciocche / norme / del tuo corpo, / fuggi il torto / uguale / d’ignorare / ciò che / non esiste, / perché esiste / in altre forme». Le parole di Giordano Bruno ribadiscono inoltre la sete di cambiamento e di sperimentazione che aleggiano attorno all’opera. Da sottolineare in tal senso la cosciente rinuncia alla forma canzone tradizionalmente intesa a favore di composizioni articolate secondo una logica narrativa, che niente concede al facile ascolto.
Come spiegato da Gazzè, Alchemaya è prima di tutto un progetto culturale costituito da testo, musica e scenografia. Le tre dimensioni entrano in relazione tra loro partecipando, ognuna dal suo punto di vista e mediante il proprio linguaggio, alla costruzione del tema centrale. Per far questo Gazzè non stravolge il suo linguaggio, ma cerca delle strade per dilatarlo, delle nuove soluzioni che allarghino i confini del genere sino a trovare dei punti di contatto con territori stranieri. La scelta dei teatri d’opera è in tal senso sintomatica, auspicando tra l’altro, accanto alla contaminazione dei generi, una contaminazione tra pubblici diversi, notoriamente ancorati ai loro mondi musicali.
Chi si aspetta di trovare in Alchemaya innovazioni tecniche o strutturali rimane tuttavia inesorabilmente deluso. Presi singolarmente, gli elementi caratterizzanti di questo lavoro – come la combinazione di sintetizzatori e strumenti sinfonici o la stessa struttura del concept – fanno già parte della nostra storia recente. La novità dell’opera non consiste dunque nella proposta di soluzioni realmente inedite, quanto nella combinazione originale di tali elementi in un progetto organico, fortemente caratterizzato da una specifica personalità artistica. Come spesso accade dobbiamo ragionare nei termini di riletture, che proprio in quanto tali forniscono un contributo tanto personale quanto originale. Per apprezzare pienamente il valore dell’opera è poi necessario contestualizzarla non solo nel percorso artistico di Max Gazzè, ma anche nella situazione che investe oggi l’industria musicale. Un lavoro tanto ambizioso e coraggioso, a ben vedere, è la naturale evoluzione di un artista che ha da sempre preso sul serio la canzone, cosciente delle enormi potenzialità del genere. In questo è senz’altro erede della migliore tradizione del cantautorato italiano, da sempre convinto assertore della sussistenza di un errore di fondo nella distinzione tra arti maggiori e arti minori. «Fare pop è davvero un’arte difficile» ha dichiarato solo pochi mesi fa Max a Ernesto Assante per Repubblica, «significa fare cose orecchiabili, archetipiche, ma ricche e a loro modo complete, c’è una meticolosa stesura del testo, una attenta ricerca sul suono delle parole che faccio con mio fratello, le assonanze, le rime interne. La semplicità da filastrocca è solo apparente: i testi sono complicati, come quello di Sotto casa, ci sono duemila parole ma i bambini la cantano subito». La cura di ogni aspetto di una canzone e in particolare delle complesse relazioni che intercorrono tra testo e musica, è sempre stata una cifra distintiva della sua produzione. Spiegava alcuni anni fa Francesco Gazzè, suo fratello e collaboratore, che «il matrimonio parole-musica deve basarsi sulla parità, sul coinvolgimento reciproco, sullo scambio disinteressato delle emozioni, proprio come accade in un matrimonio ben riuscito» (Parlare di musica, a cura di Susanna Pasticci, Meltemi 2008).
All’origine di Alchemaya c’è tutto questo, oltre alla sperimentazione ed esplorazione continua di territori sconosciuti. Ma c’è anche qualcosa che trascende l’universo Gazzè e che ha a che fare con il nostro modo di vivere la cultura: lo spettacolo mette in scena il bisogno oggi fortissimo di integrazione tra sistemi musicali, che sta portando sempre più frequentemente ad aprire dei valichi all’interno di muri che sembravano insormontabili. Gazzè ha stimolato e sorpreso il suo pubblico e lo ha fatto garbatamente, ma con fermezza e convinzione. Gli spettatori hanno sostenuto la nuova produzione, alternando attenzione e curiosità con momenti di entusiasmo e regalando all’artista la standing ovation finale, definitiva consacrazione di una serata densa di emozioni.