Avanza con qualche incertezza per arrivare al pianoforte, sorride al pubblico in un misto di fragile emotività e compiacimento ma poi si siede sullo sgabello e mostra una solidità e una forma tecnica sorprendenti. O forse no, perché da Maurizio Pollini, sabato sera ospite al Teatro Massimo di Palermo, ci si aspetta tanto, comunque.
Il concerto fuori abbonamento, organizzato dalla Fondazione Teatro Massimo in collaborazione con l’Associazione siciliana Amici della musica, ha registrato il sold out, con un pubblico affettuoso e acclamante – più di metà era in piedi a fine serata – anche se prevalentemente occasionale, come è facile intuire dagli applausi tra un movimento e l’altro della Sonata n. 3 di Fryderyk Chopin che ha concluso la serata. Tanto pubblico, dunque, e variegato, compreso un uditorio inconsueto e selezionato, collocato sul palcoscenico, subito dietro il pianoforte, di impatto scenografico e simbolico – pare che il pubblico provenisse da due quartieri difficili della città, già interessati da concerti pianistici in piazza e ora protagonisti sul palco. La scaletta del concerto prevedeva tutto Chopin, e con un variegato ventaglio di forme, dal notturno alla ballata alla mazurka.
Quando un pianista di questa levatura si esibisce in un concerto solistico e monografico offre uno sguardo nuovo su un autore e sulle sue pagine, anche celebri e consunte dalle esecuzioni, quelle interpretazioni che ci hanno “viziato” le orecchie e hanno scolpito un’idea dell’opera nella memoria cristallizzandola. Ecco che il “suo” Chopin, quello di Pollini, poteva anche non piacere, non trascinare per il fraseggio o le dinamiche, ma era senza dubbio uno Chopin alto, interessante e diverso dal solito. Era infatti contenuto in una gamma relativamente limitata di suono e tutto il canto era equilibrato tra vigore, morbidezza e controllo, come una carne sigillata all’esterno che mantiene tutti i succhi e le proprietà al suo interno. Quelle note venivano fuori con naturalezza, con un’idea chiara e matura che esaltava tutte le voci, non solo la melodia – che c’è ed è tanta in Chopin – ma ci faceva intravedere meglio l’armonia, ad esempio.
Uno Chopin un po’ nuovo, insolito, di testa, più che di facili respiri, rubati e abbandoni melodici: una poesia asciutta eppure di profondità, fatta di versi senza fronzoli ma di molta sostanza. Non tagliente ma netta. Uno Chopin così naturale eppure così sorprendente, come le parole semplici, poche, giuste. E questo lo è stato soprattutto nella prima parte del programma: nelle sonorità scelte per i due notturni, nei tempi staccati nella quarta Ballata, nella poesia della Berceuse, d’una bellezza inconsapevole.
Dopo le mazurke e la terza sonata, ha regalato anche un bis, ancora chopiniano. Tanti sono stati gli applausi che lo hanno poi richiamato sul palco ma dopo questo terzo scherzo, rientra in scena ma senza concedere altri bis.