“Le sonorità di Currentzis e della sua formidabile orchestra si impregnano addosso come il fuoco greco”. Così si pronuncia il critico musicale Giovanni Gavazzeni su Il Giornale a proposito dell’acclamato direttore di origine greca Teodor Currentzis. Chiacchierato. Osannato e, talvolta, aspramente criticato. La sua fama lo precede. A ragione.
D’altronde si dice “bene o male purché se ne parli”, ecco, per molti grandi accade proprio così. Il suo approccio alla musica classica è lontano da formalismi e rifugge ogni genere di cliché. Combattere la routine è per lui una missione e un tratto distintivo. La sua è una rivoluzione neanche troppo silenziosa. Per lui la musica si vive, si respira, si sente. E lo si fa appassionatamente. Currentzis rompe gli schemi. La sua orchestra suona in piedi per liberare più naturalmente l’energia. E il risultato del suo differente approccio all’arte dei suoni convince. “Il mio tempo verrà” profetizzava Gustav Mahler. “Era arrivato, piuttosto, sin dal principio”, come sostenne Bernstein e certamente è arrivato ancora una volta. Lo spettacolo che Currentzis ha regalato lo scorso 30 novembre al pubblico del Teatro alla Scala di Milano è stato sublime. La sua interpretazione di Mahler non ha lasciato spazio a perplessità, così come il rapporto simbiotico con la sua orchestra. MusicAeterna, orchestra dell’Opera di Perm, un ensemble dall’estrema duttilità, a sua immagine e somiglianza, che lui plasma attraverso il gesto. Una sorta di sua emanazione a tutti gli effetti. Un’intesa quella di Currentzis con i suoi che pienamente giustifica le prolungate sessioni di prove in quel di Perm di cui tanto si narra. Il suo gesto elegante e morbido disegna figure aeree e impalpabili che divengono musica, i desiderata mahleriani ritrovano vita nella sua lettura.
La capacità espressiva dell’orchestra di Perm incanta, la precisione, l’insieme e la dimensione intima e quasi cameristica ammaliano, trascinano e travolgono. I soli intensi e misurati del primo violino di spalla, così come i dialoghi tra gli strumenti vivono di un equilibrio perfetto e quasi surreale, nessuna prevaricazione è ammessa tra le voci. Un dialogo, in cui la direzione ed il raffinato fraseggio tengono viva la tensione nella delicatezza di pianissimo sussurrati, quasi impercettibili, così come nei momenti di massimo pathos in cui mai le sonorità sfuggono al suo controllo. Quando si pensa alla compagine orchestrale come strumento nelle mani del direttore si può, a ragione, pensare a musicAeterna e Currentzis.
La serata è iniziata con Des Knaben Wunderhorn, ciclo di canti composto da Mahler tra il 1881 e il 1901 su testi tratti dall’antologia di Achim von Arnim e Clemens Brentano. Poesie popolari apparentemente riferite al mondo dei fanciulli ma non dedicate necessariamente ad un pubblico infantile. Protagoniste, insieme all’orchestra, le voci di Paula Murrihy, mezzosoprano e Florian Boesch, baritono. La complessità di queste pagine mahleriane ha trovato nella loro interpretazione degna espressione. L’esasperazione introspettiva, il continuo opporsi di conflitti esistenziali che popolano la sua musica e si traducono in momenti di librata distensione per poi lasciare spazio a tormentati e disperati disegni. Un gioco di opposti perfettamente reso dal contrasto di luci e ombre, ispirati chiaroscuri e repentini cambi di colore.
La seconda parte della performance ha visto l’esecuzione della monumentale Sinfonia n. 4 in sol magg. “Das himmlische Leben” con la partecipazione del soprano Jeanine De Blique. «Ho già parlato del suo anelito struggente di superare l’esistenza terrena; di questo ci parla, in tono raro e commovente, la sua Quarta Sinfonia, la forma più incantevole in cui si sia mai espresso il suo “humor”. […] Nelle prime quattro sinfonie lei canta i problemi eterni, ricorrendo in parte alla parola espressa, in parte influenzato dalla parola inespressa (ma diventata musica pura)». Così scriveva, nel giugno 1910, Bruno Walter – primo grande interprete mahleriano – allo stesso Gustav Mahler a proposito di quelle sinfonie come la Quarta ma anche la Seconda e la Terza che accolgono nella propria struttura dei canti vocali su testi poetici, a differenza di quelle sinfonie immediatamente successive, caratterizzate da un ritorno verso la musica “pura”. In queste dense pagine la scrittura traduce in musica momenti di distensione in cui il tempo è volto alla dimensione ultraterrena e celestiale, talvolta interrotta dal suono di campanelli ad indicare una sorta di inquietante presagio che si risolve nel tempo conclusivo con il Lied popolare affidato all’angelica voce del soprano. Currentzis trasmette la ricchezza espressiva contenuta in queste pagine e la riversa sapientemente in musica.
Con eleganza e finezza interpretativa, senza eccessi. Gli estremi contrasti dello spirito tardoromantico sono ammorbiditi e in qualche misura addolciti da una dimensione esecutiva che rimane intima pur mantenendo fedeltà alla scrittura. Gli ottoni mai sovrastano, si fondono nel timbro orchestrale complessivo, rotondo e compatto, così come le toccanti e struggenti frasi degli archi corrono con singolare morbidezza e si amalgamano tra gli interventi dei legni che, mai gridati, mantengono gli effetti e la voluta e caratteristica ricchezza sonora. Il risultato è una condizione estatica. Puro godimento dello spirito. Una sorta di nirvana sonoro, quasi un viaggio verso l’agognata meta, la dimensione ultraterrena. Quella perfetta massa sonora si interrompe e dopo un momento di necessario raccoglimento, il silenzio è rotto da applausi scroscianti. La magia della musicAeterna ancora una volta si è ripetuta.